Avete presente Freebird?

Chi non l’ha presente. L’ignoranza bonaria e avvolgente dei sudisti che hanno scritto Sweet Home Alabama, odore di palude e pollo fritto. Rampicanti e schiavitù. Per farla breve, Freebird parla della metamorfosi di un uomo in un albatros (non quello di Baudelaire ma nemmeno un volatile qualsiasi, a scanso di facili ambiguità linguistiche a sfondo sessuale). Un albatross che finisce per fottersene di tutto e di tutti perché lui è libero, in un modo che stimola al 200 % gli ormoni di un tredicenne in preda della versione live… “Cause I’m as free as a bird”.

R. S. Howard è come quell’albatros. Solo che lui risale da flutti neri come la pece, grondando petrolio e altri orridi liquami che ne appesantiscono l’apertura alare e sbilanciano il volo come l’eroinomane che non è stato il volatile ma l’uomo. Sbanda tra i venti, vomita catrame, lancia il suo grido lancinante verso un cielo il cui plumbeo non rispecchia il suo cuore ma la realtà effettiva e intrinseca del mondo e della musica. L’essere completamente strafatti, fragili in un mondo di gente che spara cazzate e donne di cui ti innamori ma che non ti amano, è questa l’essenza di quel cielo che quegli occhi ammantati dal liquido scuro intravedono all’orizzonte di un’Australia malata e sputacchiante.

R.S. Howard fu il celebre chitarrista dei Birthday Party e compare ideale per un Nick Cave giovane e ribelle; ma se quest’ultimo attraversa una parabola tortuosa, con i suoi sprazzi di redenzione, certo, ma che si mantiene a livello del mare, Howard vola. Vola, cazzo, al di là di qualsiasi percorso preimpostato e già solcato da altri prima di lui, conserva un corpo già debole e alieno devastato dalla dipendenza e ci mostra come solo gli albatros sporchi feriti possano volare all’altezza degli angeli. Un artista come Howard, che già a 16 anni aveva scritto una canzone come Shivers, successivamente interpretata da TUTTI i musicisti australiani che arrivarono a contare qualcosa anche solo per un secondo. Shivers che parlava di un amore tremendo e sofferto, ma solo alla prima impressione dato che quelle erano le parole che Howard detestava proprio perché usate da chi gli stava intorno per parlare d’amore… “I’ve been contemplating suicide but it really doesn’t suit my style”. Un’ironia paradossale, impossibile per un sedicenne che non fosse alieno. Alieno come per lui erano quei giovani imbecilli così lontani dalla purezza devastante del sentimento, necessariamente devastante perché lui lo potesse definire tale. Un artista come Howard che attraversa la depressione inglese dei Birthday Party, per poi uscirne vincitore e giungere alle stelle del firmamento sperimentale e al fondo del pozzo dell’eroina e del disfacimento.

Poetica dell’autodistruzione già ripercossa sugli amplificatori, cicatrici perenni, abbandoni: tanti amori, forse pochi degni per lui di questo nome, la figura satanica e tremendamente, teneramente ammaliante di Lydia Lunch… gli album solisti, anni dopo, in seguito a un buco che ha inghiottito i fronzoli dell’anima, le piume di quell’albatros. Ora è nudo, ora la sua anima è solo spirito, solo essenza, solo Teenage Snuff Film, quel capolavoro assoluto. Giunta è la fine per il volo dell’albatros, ora in una gabbia eterea gli spetta una catena d’Argento (Silver Chain…) per ogni anello della quale c’è un amore lasciato comburere nel gelo dei fuochi fatui, ceneri sepolte da lacrime e ossidiana. Teenage snuff film è uno degli album migliori di sempre di uno dei chitarristi migliori di sempre. Non ci sono cazzi né troppe parole da spendere: quell’albatros si staglia in un empireo mitologico, rilucendo in un inferno celeste di sensi sublimati che nemmeno la fusione tra le cosmologie di Milton e Elliot avrebbero potuto completare (ci sarebbe voluta la musica): Autoluminescent.

Chiedo venia per qualsivoglia spiacevolezza sintattica, questa roba non può scendere a compromessi.

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