Premessa: probabilmente fra qualche giorno disconoscerò gran parte delle considerazioni espresse in questa recensione.
Il mio rapporto con i Roxy Music è tormentato e per anni li ho scientemente evitati.
Come si fa a dare credito ad un crooner impomatato che si circonda di fighe e canta “Slave To Love”!
Con circospezione tuttavia, ho iniziato a frequentarli, sempre tenendo una via d’uscita dietro alle spalle. E inaspettatamente ho incontrato uno degli album fondamentali per definirmi come ascoltatore: “For Your Pleasure”.
A suonare quest’opera in ordine: il bassista dei Roxy Music (un session-man a caso), Andrew MacKay (pregevole polistrumentista), Paul Thompson (che pare un picchiatore di pelli e invece…), Phil Manzanera (chitarrista creolo con ascendenze canterburiane), Brian Eno (un extraterreste la cui sola presenza è in grado di inquietare qualsiasi partitura).
A capitanarli con nerbo d’acciaio, un Genio in Tuxedo: BRIAN FERRY.
“For Your Pleasure” è un’opera alchemica dove l’Alto incontra il Basso e il piombo si trasforma in oro. I brani sono allo stesso tempo dei dejà-vu e degli archetipi. Molti generi musicali precedenti possono trovarvi casa e allo stesso tempo il disco anticipa il futuro. Il kitsch si fonde con l’avanguardia.
I pezzi sono eccellenti: dalle ipercinetiche “Do The Strand” ed “Edition Of You”, alla confessione intimista di “Strictly Confidential”, dal lentone da “balera” di “Beauty Queen” allo standard rock’n’roll di “Grey Lagoon”. Completamente a parte lo sperimentalismo sfrenato e indefinibile di “Bogus Man”. A chiudere il disco, l’impalpabile e visionaria “For Your Pleasure” che termina in un misterioso tribalismo ed evoca Tara, la collina sacra dei Celti. In ogni traccia ciascun membro del gruppo dà il suo contributo creativo con il benevolo consenso del proprietario della Ditta. Incastrato nel mezzo del long-playing, un miracolo al limite del cabaret dadaista: “In Every Dream Home A Heartache”. La prima parte è dominata dalla tastiera di Mackay e sopratutto dai loop di Brian Eno che supportano il cantato febbricitante di Ferry. In un crescendo ipnotico il Genio con la brillantina, narra l’amore perverso di un arricchito parvenu per la sua bambola gonfiabile. Al culmine della insana confessione, irrompe il brutale assolo di Manzanera, uno dei più devastanti e definitivi dell’intera storia del Rock.
Nulla è lasciato al caso e la copertina immortala Amanda Lear che sguinzaglia una pantera nera, un’icona immortale che arrivò ad irretire perfino l’anima inquieta di Giovanni Lindo Ferretti.
Siamo all’apice di un processo creativo che purtroppo andrà perso in parte con l’uscita di Eno, in parte con la lucida volontà di Ferry di consegnarsi progressivamente al mainstream e alle sue promesse di soldi e ragazze in lamè.
Inizia da qui un’altra storia in cui comunque il Genio in Doppiopetto si è riservato il privilegio di consegnarci delle gemme sparse in un repertorio dal songwriting raffinato ed estremamente professionale.
Anche “Slave To Love” ti si attacca alle orecchie……...
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