Album datato 1989 e prima uscita discografica da leader per Roy Hargrove, allora ventenne talento emergente della tromba jazz.

Pure a distanza di tanti anni, è un disco ancora bello e godibile che ci permette di apprezzare le sue doti di solista dal timbro pastoso e agile nell’articolazione, con un qualche “profumo” di Clifford Brown: tanto per citare, direi «A New Joy» - il mio pezzo preferito - e poi anche «Confidentiality» e «All Over Again». Sono i brani di sua stessa composizione e li metterei un gradino sopra gli altri. L’ho trovato invece meno efficace nella rilettura – elegante, ma forse un po’ scolastica - dei due standard presenti in questa raccolta, «Ruby My Dear» e «Easy To Remember» e nella boppistica «Wee» che chiude l’album.

Quanto ai musicisti di sostegno, due sono le formazioni che si intrecciano e non serve andare troppo nei dettagli: segnalo solo - per un ascolto più attento - il pianista Geoffrey Keezer (qui anche autore per «Proclamation»; «Premonition» e «BHG») e l’altosassofonista Antonio Hart. Il risultato complessivo di questa prima uscita discografica del giovane Roy si allinea al mainstream “jazz-messengersiano”, che era una delle tendenze del jazz di fine anni ottanta, forse mutuato dal suo mentore e scopritore Wynton Marsalis.

Il buon Hargrove avrebbe dato il meglio di sé nel seguito della carriera e in quegli anni - parafrasando il titolo dell’album – era ancora un “diamante grezzo”. Un disco dunque DIAMONDS IN THE ROUGH che interessa l’appassionato soprattutto nella prospettiva storica di un punto di partenza stilistico.

Quanto alla parte grafica, il disco ci regala due belle foto del nostro Roy, in copertina e nel folder interno, ma è piuttosto lacunosa nelle informazioni (gli autori dei pezzi bisogna andare a leggerli direttamente sull’etichetta) e gioca a favore di un ascolto su YouTube oppure di un acquisto nel formato immateriale, se non altro meno costoso

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