Roy Montgomery è una figura di spicco del rock psichedelico, ambientale e spaziale degli anni '90, quanto di più interessante venuto alla luce dalla Nuova Zelanda nel campo della musica a cavallo tra popolare e avanguardia, insieme ai Dead C.
Ingiustamente rimasto di nicchia ancor'oggi che la sua carriera può considerarsi conclusa, avendo il nostro appeso la chitarra al chiodo a favore della carriera universitaria, ha lasciato ai posteri una prolifica serie di lavori sempre di alta qualità, mai scaduta in un vuoto manierismo: dagli esordi eighties col dark-punk del Pin Group, all'eccellente "This is Not a Dream nei Dadamah", ai due dischi come Dissolve in coppia con Chris Heaphy, a quelli insieme ai Bardo Pond nel progetto Hash Jar Tempo, fino a ben sei album solisti ed un paio di raccolte, una che raccoglie le sue creazioni più cantautoriali, l'altra - Inroads - uscita da poco, che ripercorre la sua evoluzione strumentale attraverso varie b-sides e pezzi rimasti inediti.
Le radici del suo stile, orientato a una trance minimale, spesso priva di base ritmica, possono essere ravvisate - seppur riplasmate in maniera unica - tanto nel chitarrismo di John Fahey quanto nei raga indiani come anche nel kraut spericolato di Manuel Gottsching; memori del caleidoscopio di Terry Riley quanto dell'ossessività satura degli Spacemen 3.
"The Allegory of Hearing", uscito nel 2000, rappresenta uno dei suoi capisaldi, assieme a "And Now the Rain Sounds Like Life Is Falling Down Through It", del 1998, e "Scenes From the South Island", del 1995. Si può dire che con questo lavoro abbia raggiunto il massimo della consapevolezza dei propri mezzi, cercando di fondere gli esperimenti ambientali e celestiali di Scenes alla carica psichedelica, quasi psicotica, inconscia, sotterranea, di "And Now The Rain...", il suo disco più conosciuto.
Roy tenta una sorta di viaggio strumentale sinestetico, cercando di realizzare dei paesaggi veri e propri, plasmando una musica suggestiva, che possa fondere insieme orizzonti mentali e reali. Il disco è volto ad evocare le lande lontane, desolate e impervie delle isole del sud della Nuova Zelanda, dov'è difficile il rifugio dalla civiltà anche alle specie di uccelli in pericolo d'estinzione.
Il viaggio parte con "Ex Cathedra", lento arpeggio chitarristico riverberato da droni cupi e con sullo sfondo un flusso omogeneo di farfisa a rendere il brano molto ambientale: una sorta di scorcio generale, dall'alto, a quello che sarà il panorama del disco. "Rock, Sea, Muse, Seek" scarica un'ondata d'adrenalina, in cui lo stesso riff, sovrainciso più volte, si sovrappone ad una serie di sirene. L'atmosfera è convulsa, stridente, assordante. Roy arriva a tratteggiare qualcosa di molto simile a un viaggio lisergico all'interno di una tempesta.
"As the Dali Lama Was Remarking I Believe" propone un rimbombo oscuro in cui si inserisce un lungo tema-assolo salmodiante, di sapore orientale, che con minime variazioni gira attorno a un paio di accordi reiterati che gli fa da base fin dall'inizio. E' evidente qui, come in molti altri suoi pezzi, la fusione di elementi statici, ripetitivi, e di elementi dinamici; nessuno di questi prende il sopravvento sugli altri: il senso orizzontale del cantico materico, immanente, si compenetra perfettamente col senso verticale dell'impressione trascendente, estatica, contemplativa. Entrambi si danno senso reciprocamente, e, orfani della batteria, creano un ritmo attraverso il loro intersecarsi.
"Sounding The Abyss" si sposta a scavare tra profondità marine, sabbiose e calcaree, con una lunga incursione chitarristica, sorda, lenta, fragorosa, tattile. Tra le dita di Roy le corde proiettano vividamente i propri movimenti sulla roccia del suono, come se dessero vita ad un mostro marino.
"I Hear You Mocking", quinta traccia del disco (nella tracklist originale manca per errore), risale in superficie a tracciare un percorso grumoso, arido, in cui il farfisa si libera in un aspro assolo, mentre gli accordi veementi di più chitarre fanno da contraltare armonico.
La serie di questi brevi schizzi paesaggistici continua con "Where the Beltower Once Stood", pezzo più aereo, siderale. Il rimbombo sullo sfondo permette ai timbri di essere più aperti, l'eco e il riverbero della chitarra pennellano un momento di contemplazione estatica, che a metà brano lascia partire altre visioni sospese e più monumentali. "From The Promontory" si permette di riprendere il tema della prima traccia aggiungendo una scia elettrica che ricorda le invenzioni di Brian Eno.
Con "Resolution Island Suite" arriviamo al climax dell'album: 17 minuti vorticosi di magma rovente, divisi in 7 movimenti, dove si susseguono arpeggi acustici alla Fahey, resi sporchi e poi elettrici, circondati dai flussi del farfisa e da quante più possibili invenzioni chitarristiche, il tutto a creare un tappeto shoegaze, un mantra intemporale, da cui sbucano però deviazioni fantasiose; Roy riesce a mantenere un perfetto equilibrio tra le jam acide degli anni '70 e il minimalismo, evitando di scadere in barocchismi fuori moda ma conservando la ricchezza immaginativa della psichedelia, anzi riaggiornandola al terzo millennio.
Dopo questo viaggio al centro della terra, si rifà alba sulle colline con "At The Intersection of Herzog & Wenders", che ci fa rendere conto di quanto la musica di Montgomery, imparentata sia con quella di Florian Fricke che con quella di Ry Cooder, sia ideale per accompagnare il mood di questi registi: ritorna ancora il leit motiv melodico-armonico tra momenti materici e momenti eterei, tra spazi rurali, granitici, e spazi ascendenti, pastorali. Si chiude il cerchio allora con "Above All, Compassion", un altro reprise, più assorto e lieve, del motivo d'apertura.
mezzi relativamente semplici, Roy Montgomery è riuscito a sviluppare e a lambire in musica la concretezza dei territori naturali - non si deve dimenticare quanto il suono sia caratteristica essenziale del movimento dei corpi a contatto con l'ambiente - quanto l'astrattezza di tensioni invisibili, panteistiche, universali, musica delle sfere. Ha trasmesso una carica spirituale a tutto quel sublime e misterioso spettro di esistenze inorganiche, non asservite ai bisogni umani, con un personale calligrafismo che unisce fantasia e precisione, divenire ed origine del mondo, spirito e materia.
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