Lo avevamo lasciato a fine 2008 mentre camminava solitario in un bosco nel video di "Rather Be", ultimo singolo dei The Verve e segno tangibile che il terzo scioglimento della band era ormai alla porte. Nei mesi seguenti Richard Ashcroft, forse il più grande talento che la musica britannica abbia prodotto negli ultimi vent'anni, ha pensato persino di ritirarsi. Ma non l'ha fatto, anzi, è tornato in pista in maniera sorprendente. Dopo aver realizzato "The Journey", singolo a scopo benefico per la Helen Bamber Foundation, Ashcroft è venuto in contatto col produttore hip-hop di Chicago NO I.D., celebre per aver lavorato con artisti del calibro di Jay-Z, Common, Alicia Keys, Usher e Kanye West, ed ha assemblato un nuovo gruppo, RPA & The United Nations of Sound (dove RPA sta proprio per Richard Paul Ashcroft). Di quest'ultimo fanno parte anche il chitarrista Steve Wyreman (già con Mary J Blige), il bassista Dwayne ‘DW' Wright e il fratello batterista Derrick Wright, tutti giovani ragazzi americani di notevole talento.

"United Nations of Sound" è il risultato di questo nuovo ambizioso progetto. Registrato fra Los Angeles, New York e Londra, l'album è impreziosito dalla presenza della leggenda Motown e vincitore di un Grammy Award Reggie Dozer (Marvin Gaye, Stevie Wonder, Outkast) come ingegnere del suono, e da quella di Benjamin Wright (Off the Wall di Michael Jackson) all'arrangiamento degli archi, tanto cari a Richard fin dai tempi di "History" e "Bitter Sweet Symphony". Il disco, come da desiderio di Ashcroft, è un miscuglio di generi: dal pop al rock, dal R&B all'hip-hop, dal blues al soul. Un consiglio, dimenticate per un attimo la sua carriera solista e soprattutto la sua produzione coi The Verve. Se vi aspettate qualcosa di simile rimarrete sicuramente delusi. Questo disco è un encomiabile tentativo di voltare pagina, di cambiare direzione, di dimostrare a tutti, se ancora ce ne fosse bisogno, che Ashcroft può creare musica di buon livello anche senza i nemici-amici McCabe, Jones e Salisbury. Il sound è diverso, molto ‘metropolitano', ma la classe del 38enne di Wigan è sempre la stessa. La religione, la vita e l'amore sono indubbiamente i temi principali dell'album, il cui titolo provvisorio era non a caso "Redemption".

L'apertura è affidata alla potente "Are You Ready?", rilasciata a gennaio per le radio inglesi con lo scopo di presentare la nuova band e per la quale è stato girato anche un video. Dopo una sostanziosa introduzione orchestrale, Ashcroft attacca con la sua solita grinta e una voce che sembra migliorare col passare del tempo. La canzone prosegue piacevole e lineare sfruttando un campionamento di "On Time" dei Bee Gees (1972) per terminare con un notevole assolo di chitarra di Wyreman. Nel testo Ashcroft non parla, come si potrebbe facilmente pensare, di un ritorno di Gesù sulla Terra o cose del genere, bensì si chiede se l'umanità sia pronta per qualcosa che va al di là della sua immaginazione, al di là delle definizioni limitanti. Qualcosa di davvero nuovo in grado di farci fare un passo avanti.

Subito dopo troviamo "Born Again", il primo singolo vero e proprio, in cui la voce di Richard si fonde perfettamente con le armonie create da Benjamin Wright e con la sempre consistente chitarra di Wyreman. Il titolo fa riferimento alla maniera cristiana secondo cui è giusto cercare giorno dopo giorno di ‘rinascere', nel senso di uscire dalle difficoltà, dalla depressione, dai casini della vita. Un pezzo piacevole e ottimista che avrebbe trainato benissimo l'album se solo fosse stato promosso adeguatamente. Richard però è stanco dei riflettori e delle classifiche, a lui queste cose interessano sempre meno. La sua scelta va rispettata, meglio godersi la sua musica di qualità senza pensare ad altro.

La terza canzone è "America", indubbiamente la più ‘artificiale' di tutto il disco. La metodologia di lavoro di NO I.D. è manifesta in questo pezzo, nel quale Ashcroft non si affida ad un batterista in senso tradizionale ma ai beat creati dal produttore di Chicago. Il risultato è un sound ‘urbano', anche pesante, dove i loop e i ritmi si fondono alla perfezione. Il finale, con tanto di fischio alla Morricone che fa tanto spaghetti western, è esaltante.

Il disco prosegue con "This Thing Called Life". Quello che probabilmente sarà il secondo singolo estratto dall'album è sicuramente una delle creazioni migliori del ‘nuovo' Ashcroft. Il pezzo si sviluppa su uno sfondo R&B sul quale il cantante si cimenta persino col rap. E con buoni risultati. Anche qui il batterista Derrick Wright deve farsi un attimo da parte per lasciare spazio alle percussioni costruite di NO I.D. Il ritornello, già caro ai fan, è di quelli che ti entrano subito in testa regalandoti pure una buona dose di emozioni.

La quinta traccia è l'energica "Beatitudes". A molti fan di Richard questa canzone ha fatto storcere il naso, forse perché è la più lontana dal suo stile consueto. Il ritmo è incalzante e i beat avanzano veloci e prepotenti in sottofondo. La voce di Ashcroft, affiancato come peraltro in alcuni tratti di "Born Again" e "This Thing Called Life" dalla corista Kaye Fox, si dimostra sempre più eccezionale e inconfondibile, merce rara di questi tempi.

Si arriva così al giro di boa dell'album: "Good Lovin'". Mixata dal fido Chris Potter, il suo produttore storico fin dai tempi del capolavoro "Urban Hymns", la sesta canzone è una ballata melodica e malinconica impreziosita dagli splendidi archi arrangiati da Benjamin Wright e registrati da Reggie Dozer. Davvero convincente.

La seconda parte di "United Nations of Sound" si apre con "How Deep Is Your Man?", un blues in puro stile anni Sessanta che omaggia e riprende la storica "Boom Boom" di John Lee Hooker (1961) e che testimonia ancora una volta quanto sia sconfinata la cultura musicale del cantautore inglese. Stando alle parole di Ashcroft, il testo del pezzo prende spunto dalla storia della creazione di questo album e procede come fosse un cortometraggio, con il cantante che si immagina pieno di problemi a New York e che viene salvato dall'incontro con NO I.D. Un incontro che lo ha cambiato, una sorta di ‘redenzione personale'.

L'ottava traccia è l'incantevole ballata "She Brings Me the Music", dedicata alla moglie Kate. La canzone inizia con un dolce pianoforte a cui si affianca la chitarra acustica di Richard, prosegue con dei dolci archi in sottofondo che accompagnano un testo dolcissimo e termina in crescendo con il grido d'amore del cantante. Dobbiamo ammetterlo, Ashcroft può sperimentare quanto vuole ottenendo anche ottimi risultati, come in questo album, ma quando torna alla sua collocazione naturale regalandoci poesie in pieno stile "On Your Own" e "Sonnet" i brividi lungo la schiena come minimo raddoppiano. Qualsiasi uomo dovrebbe dedicare alla propria donna questa canzone almeno una volta nella vita. Da pelle d'oca.

Subito dopo troviamo "Royal Highness", forse il pezzo più radiofonico e orecchiabile di tutto il disco. Una fresca canzone rock in cui ancora una volta vengono messe in risalto la ruvida voce di Ashcroft e l'estrosità del chitarrista Steve Wyreman. Nel testo RPA celebra il fascino di trovarsi impegnato nello studio di registrazione alle tre del mattino a fare musica mentre tutta intorno a lui la città ancora dorme. Avete presente quei film americani in cui una fiammante decappottabile sfreccia lungo una smisurata autostrada con lo stereo a palla? Ecco, questo sarebbe lo scenario ideale per godere a pieno di questa canzone.

La decima traccia è "Glory", lunga poco più di tre minuti ma davvero gradevole. La canzone inizia con una chitarra acustica che via via si fonde con quella elettrica e con i soliti deliziosi archi di Benjamin Wright. Anche qui Ashcroft è supportato dalla corista Kaye Fox e la particolarità del pezzo è che anche qui non sono presenti percussioni intese come batteria ma solo un continuo battimani in sottofondo.

La numero undici è "Life Can Be So Beautiful", un curioso miscuglio di sonorità alle quali Richard sovrappone la sua voce in falsetto. L'accordo principale è tratto da "The Schoolboy" di David Axelrod (1969), celebre compositore di Los Angeles col quale Ashcroft aveva già collaborato nel 2004. L'unica accusa che si può muovere a questa canzone è che non vada a finire da nessuna parte: forse è vero, ma sicuramente ci regala cinque minuti di armonia e relax. Proprio come recita il testo, con la sua musica Richard è in grado di portarci ovunque.

L'ultima canzone del disco è la meravigliosa "Let My Soul Rest". A questo pezzo non manca davvero nulla, tutte le varie componenti si bilanciano alla perfezione in continuo saliscendi di emozioni. Forse può sembrare retorica ma ascoltando queste note sembra davvero di poter toccare il cielo con un dito. Gli archi e i fiati sono semplicemente perfetti, la voce di Ashcroft è maestosa e il lavoro di sottofondo di NO I.D. è ancora una volta impeccabile (così come il mixaggio, affidato anche qui a Chris Potter). Vale da sola il prezzo dell'album.

La tracklisting classica è conclusa ma due parole meritano di essere spese per le tracce bonus. Chi conosce bene Richard Ashcroft sa che spesso dietro a questo tipo di canzoni o alle b-side dei singoli si nascondono delle piccole gemme. Anche stavolta infatti il livello è alto: "Captain Rock", la traccia extra disponibile per iTunes, è un appassionato sfogo autobiografico con testo quasi freestyle, mentre "Third Eye" (già rilasciata in aprile per gli iscritti al RPA Club e ora inserita nella versione giapponese del disco) è una vera e propria jam session in salsa hip-hop creata da Ashcroft e Wyreman il giorno del loro primo incontro. Davvero entusiasmante.

Dopo aver ascoltato "United Nations of Sound" in modo approfondito e aver goduto anche delle versioni live di quasi tutte le canzoni contenute in esso nel concerto che Richard ha tenuto il 5 giugno scorso ad Ancona, posso tranquillamente affermare che siamo di fronte ad un album di buon livello. Un album in cui tutto il talentuoso collettivo ha avuto l'umiltà di seguire le dritte di Ashcroft ma, nello stesso tempo, ha avuto la possibilità di improvvisare, portando ottima energia alla musica del cantante di Wigan. Le sperimentazioni e la fusione fra i vari generi, specialmente per merito del lavoro di NO I.D., sono andate a buon fine, e la voce di Ashcroft rimane ancora oggi una delle cose migliori che la musica internazionale possa offrire. Come già detto in precedenza, "United Nations of Sound" va separato dai suoi predecessori e giudicato senza pregiudizi. Il legame più profondo col passato lo si può individuare nei testi delle canzoni, nei quali Ashcroft continua ad esplorare ogni anfratto dell'emozione umana scrivendo pezzi che parlano soprattutto dei sentimenti: dall'amore alla perdita, dalla disperazione alla rabbia, dalla felicità allo sconforto.

Cambia la band, cambia il sound, ma Richard Ashcroft è sempre lo stesso. Solo che ora per farsi notare non ha più bisogno di camminare su un marciapiede urtando tutto e tutti, ed è un peccato che molte persone, a distanza di quasi quindici anni dal video di "Bitter Sweet Symphony", non se ne rendano ancora conto e non lo apprezzino per quello che realmente vale. Io però conosco il suo valore e sono felice di annunciare che Richard Ashcroft anche stavolta non ha deluso le aspettative e ci ha regalato un album di tutto rispetto. Lunga vita a ‘Captain Rock'!!!

Simone Minghinelli

Elenco tracce e video

01   Are You Ready (06:33)

02   Born Again (04:57)

03   America (04:18)

04   This Thing Called Life (05:27)

05   Beatitudes (04:25)

06   Good Loving (04:46)

07   How Deep Is Your Man (03:30)

08   She Brings Me the Music (04:16)

09   Royal Highness (04:14)

10   Glory (03:12)

11   Life Can Be So Beautiful (05:29)

12   Let My Soul Rest (04:59)

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