Nel novembre 2004, dopo tre album perfetti, il talentuoso cantautore canadese Rufus Wainwright dà alle stampe "Want Two", una sorta di "atto secondo" del precedente lavoro "Want one".
Può forse apparire meno compatto e con meno guizzi di genio rispetto al precedente lavoro, ma l'album si presenta senza dubbio come l'ennesima sequela di grandi canzoni arrangiate magistralmente.
Nel disastrato mondo del pop, dove i più talentuosi si gettano o nell'elettronica o nei vecchi canoni blues e folk, è bello avere un songwriter non catalogabile, dalla vena melodica senza tempo, capace di mescolare stili di ogni epoca, di costruire arrangiamenti così perfetti e ricchi restando sempre arioso ed originale.
Veniamo all'album.
"Agnus Dei" appare come una strana Ouverture, un ibrido dove vengono mescolate sonorità orientali e occidentali, come fosse un canto gregoriano intonato in una moschea (un'impressione quasi blasfema), seguendo una linea melodica intrigante che poi vira in una maestosità da opera lirica.
Dopo l'incanto onirico di "Agnus Dei" ci si risveglia nella maestria melodica di "The One You love", un pop efficacissimo, un easy listening ritmato e accattivante in tonalità minore arrangiato in maniera certosina, a cui segue "Peaches Trees", una malinconica e delicatissima bossanova, e "Little sister", una arietta con tanto di orchestrazione settecentesca degna di un Rossini degli anni 2000.
Un passo falso rispetto a "Want One" potrebbe essere l'accoppiata live "The art teacher" - " Hometown Walts" (una melodia dilatata il primo, e un elegante waltzer il secondo). Anche se non capisco questa esigenza di inserire inediti Live, il risultato è buono, e probabilmente meritavano una registrazione in studio.
Chiusa la breve parentesi Live, ecco "This Love Affair", uno spettacolare Lieder incredibilmente intenso, tra i punti più alti dell'album.
Sono conscio del fatto che la recensione diventa stucchevole a descrivere ogni traccia, ma non posso non menzionare gli altri grandi pezzi del disco, da "Gay Messiah" una ballad acustica improntata su temi personali, "Memphis Skyline", un'appassionata canzone d'altri tempi per pianoforte e orchestra, "Waiting For a Dream", un onirico brano con sonorità più moderne, e "Crumb by Crumb", un pop da camera più scanzonato.
Il disco chiude con "Old Whore's Diet", la traccia più interessante. Una intrigante melodia viene ripetuta in modo ossessivo per 9 minuti come se fosse un mantra; l'introduzione è spoglia, ma presto il tutto viene avvolto da un ritmo arabeggiante frutto di un'alchimia particolare dove trovano posto anche un quartetto d'archi, potenti cori onirici (dove svetta la sorella Martha), e la voce di Antony Hegarty (avete presente Antony and the Johnsons?), la cui timbrica sembra venire da un altro piano astrale. Questa rapsodia pop viene degnamente conclusa da una fantasmagoria corale a ritmo di marcia.
"Old Whore's Diet" è l'emblema di un decadentismo apatico moderno, nel quale la depressione o la solitudine porta l'individuo a nutrirsi a orari indecenti, magari con avanzi di cibo cinese di due giorni prima; la "dieta da vecchia puttana" diventa il vessillo di questo stato d'animo.
Tutto l'album è dominato dalla voce monotona ma allo stesso tempo intensa e potente di Rufus Waiwright, che delinea queste sue melodie di ampio respiro in arrangiamenti superbi. Ogni traccia è una piccola opera d'arte, e nel pop melodico è come avere a che fare con rarissimi fiori tropicali in via d'estinzione.
Esattamente come i primi tre album di Rufus, questo disco è imperdibile.
Giudizio 8,5/10
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