A tu per tu con il melodeath ed affini

IV Capitolo - Barbarica furia del metallo morto, epico e un poco tamarro

Nel vasto panorama metallico mondiale gli incroci di stili sono assai frequenti e può capitare che alcuni gruppi, pur non inventando nulla di nuovo, sappiano mescolare quanto già fatto da altri in maniera tale da raggiungere risultati notevoli. Nel caso succeda con l’album d’esordio saranno i lavori successivi a chiarire se si tratti di vero talento o semplice fortuna, comunque in ogni caso almeno un disco degno di nota porterà il nome del gruppo in questione. Ed il gruppo in questione oggi è quello dei Runemagick, non sembra un nome difficile da ricordare, e potrebbe essere interessante per chi alzandosi al mattino si trovi indeciso se ascoltare gli In Flames oppure i Manowar.

Quindi di metallo melodico della morte si tratta, però anche di metallo epico, infatti abbiamo un vocione growl, sfuriate death metalliche, riffoni thrasheggianti che compaiono qua e là e inserti melodici che evocano con nostalgia gli anni ottanta più epici, quelli del metal più puro ed incontaminato, del metallo o morte, della passione viscerale e dell’autoesaltazione più spinta. D’altronde basta guardare la copertina: quel nerboruto guerriero con uno spadone lungo due metri potrebbe decapitare tutte e quattro le Tartarughe Ninja in un colpo solo con ardita furia, perché per i nemici del metallo non c’è scampo! E’ evidente infatti che il suono del gruppo è influenzato dalla corrente più tamarra ed intransigente dell’epic metal, ovvero i Manowar con i loro inni ed i loro mutandoni di pelle, e nonostante possano ricordare in alcuni frangenti i connazionali Amon Amarth la differenza tra i due gruppi è marcata, poiché questi ultimi hanno uno stile molto più ammazza cristiani che paga sicuramente pegno agli Slayer. Comunque nelle composizioni un vago alone di malinconia nordica è presente lo stesso, in fondo il gruppo è nato in Svezia negli anni novanta e certe influenze sono indelebili, per fortuna aggiungei.

Che dire ancora dunque? Prendete questo album per ciò che è, ovvero tutt’altro che un capolavoro, ma un buon lavoro che da la giusta carica quando si ha voglia di ascolti poco impegnati.

P.S. Nel caso interessasse a qualcuno l’anno di uscita è il 1998 e il bassista è Peter Palmdahl appena uscito dai gloriosi Dissection. Il leader del gruppo è invece tal Nicklas Rudolfsson, musicista che ha militato in moltissimi gruppi svedesi, nessuno dei quali però di una certa fama.

Carico i commenti...  con calma