I genovesi Runes Order sono un progetto di musica elettronica-ambient che in realtà fa capo ad un'unica persona, tal Claudio Dondo; che col passare degli anni ha sfornato una serie impressionante di dischi e nastri reclutando musicisti e cantanti tra gli amici, con alterne fortune e alterni risultati.
La musica di Runes Order da un lato è intrisa di suggestioni industrial con contaminazioni politiche e ideologiche marcatamente di destra, o quantomeno di ispirazione "celtica". Dall'altro sembra aver ripescato due decenni di tendenze elettroniche senza particolari guizzi di contenuto. Vale a dire che la scelta di un'aura runica attorno al progetto si è fermata ai titoli e alle iconografie senza realmente dichiararsi nei (rari) testi e nell'impostazione sonora. Questo perchè Dondo non ha mai dimostrato di avere doti di compositore originale e in grado di evolversi, finendo per supplire alla scarsità di idee musicali con un sovrastrato di matrice culturale.
"The land of silence" è il secondo lavoro uscito ufficialmente su cd, dopo l'esordio di "Winter". E anche questo album, come il primo, consta di rimaneggiamenti di materiale già pubblicato su cassetta all'inizio degli anni '90, ripulito ed arrangiato con uno spirito che veleggia tra Dead Can Dance, Death In June, OMD e i Cure più tastieristici. Copertina e atmosfere tendono ad identificare l'opera con un filone decadente e marziale, ma laddove prevale il ritmo e le voci femminili si srotolano in sinuose litanie, le reminiscenze di genere sono più vicine al synthpop e alle produzioni 4AD.
Nel complesso la tracklist non è male, se considerata nei singoli incipit dei vari pezzi. Ma un ascolto attento conferma che non c'è grande capacità di sviluppare i brani e alla lunga il disco è molto ripetitivo, costruito su interminabili introduzioni che non decollano mai. Caratteristica, questa, che nei lavori successivi si ulteriormente amplificata.
"Ombre", "Metamorphosi" e la titletrack "The land of silence" non sono male, nel nocciolo. Ma soffrono di una scarsa identità. La malinconica "Tears in the snow" è diventata un piccolo classico dei Runes Order, forse il loro pezzo più conosciuto: e a ragione, visto che tesse un ricamo di piccole suggestioni old-fashion, con suoni analogici e una batteria martellante, ma discreta. Un pezzo che difficilmente si incontra in album posteriori.
Runes Order è un nome piuttosto conosciuto nel sottobosco delle produzioni indipendenti italiane, anche grazie a diverse apparizioni dal vivo e ad un piccolo stuolo di estimatori. Francamente inspiegabile, però, l'esaltazione di certa critica che ha valutato il progetto di Dondo come uno dei più influenti e talentuosi degli ultimi anni, considerando che si tratta di una discografia piuttosto monotona, che attinge a man bassa altrove e non ha mantenuto una line-up in grado di dare un'impronta evolutiva al percorso.
"The land of silence" resta uno dei capitoli meno pretestuosi e abbozza una traccia di personalità che non dispiacerà ai cultori delle pseudo-colonne-sonore, a metà tra Alan Parsons e i This Mortal Coil. Ma nulla di più che un album accettabile e ben confezionato.
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