"Clockwork Angels". È questo il nome, affascinante e misterioso, del nuovo full-lenght del trio prog canadese dei Rush dopo ben 5 anni di attesa dall'ultima uscita. Concept di ambientazione steampunk, narra la storia di un ragazzo che intraprende un viaggio, fisico ma soprattutto interiore, tra luoghi esotici e città d'oro, entrando in contatto con strani personaggi, pirati, anarchici e soprattutto la figura di un orologiaio che gli ricorderà sempre che il suo tempo è limitato. Già dalla copertina il disco sembra invitarci ad entrare questo mondo apparentemente distante, il cielo rosso e davanti un orologio con simboli misteriosi; le lancette segnano 21:12. Inseriamo il cd nel lettore e subito siamo trascinati in questo strano universo dalla opener, Caravan, la cui atmosfera iniziale ci fa viaggiare con la mente prima dell'irruzione potente della chitarra di Lifeson. Un ottimo brano ai limiti dell'Hard Rock perfetto per aprire le danze; a seguire troviamo BU2B che si arricchisce di un'intro acustica accompagnata dalla voce soffusa di Geddy Lee prima dell'esplosione di strumenti praticamente heavy.
Un sound così duro non si sentiva da parecchio nella discografia dei tre.
Cori angelici introducono Clockwork Angels, terza traccia; l'atmosfera creata da strumenti e voce è magica, ipnotica, evocativa, soprattutto con il testo davanti. Necessita di qualche ascolto essendo meno diretta della altre ma è davvero particolare e ben riuscita, forse la mia preferita; la tranquillità creata dalla title-track viene subito rotta dalla batteria di Neil Peart che introduce l'energica The Anarchist, con un bellissimo solo orientaleggiante.
Quello che colpisce subito di questo album sono, secondo me, i suoni; moderni ma allo stesso tempo antichi, come se il disco invece di comprarlo lo avessimo trovato per caso mettendo in ordine in soffitta. Il disco prosegue con Carnies, introdotta da una chitarra piuttosto distorta; eccezionale il lavoro di Neil. Potrei andare avanti citando tutte le canzoni, ma sarebbe inutile. Meglio ascoltarle direttamente, dalla ballata Halo Effect ricca di parti acustiche, a The Wreckers con un ritornello melodico e un bellissimo testo, alla riuscitissima Seven Cities Of Gold dove il basso di Mr. Lee la fa da padrone. Attenzione particolare merita Headlong Flight, prima canzone rivelata dell'album: in questa canzone emergono più che mai la straordinaria abilità di Geddy al basso e soprattutto la capacità dei tre di fondere perfettamente tecnica, creatività e bellezza come pochi sanno fare.
Il disco si conclude con The Garden, il giardino dove ciascuno di noi trova se stesso e i suoi ricordi, i suoi sogni, quello che fa di noi ciò che siamo, mentre nel frattempo il tempo passa...
Pianoforte ad accompagnare la voce e un magistrale assolo di Alex, chitarrista sempre troppo sottovalutato ma capace di dare grande personalità alle sue composizioni senza inutili tecnicismi. Emozione pura.
Così si chiude "Clockwork Angels", un disco ambizioso, particolare, che necessita molti ascolti per essere assaporato a fondo; un album sicuramente, nel bene e nel male, diverso dalle precedenti uscite come i Rush ci hanno sempre abituati. C'è davvero tutto quello che li contraddistingue: linee di basso degne di uno Steve Harris sotto steroidi, il drumming di Peart quadrato e sempre adatto al contesto, la chitarra di Lifeson a condire il tutto; e soprattutto la classe, che i tre hanno da vendere. Se pensiamo che si tratta del loro ventesimo album in studio tanto di cappello a questo trio dalla creatività infinità...
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