1985. I Rush fanno uscire nei negozi quello che è probabilmente l'album che meglio rispecchia l'essenza dei Rush anni '80. Ancora una volta, come già accaduto in "Signals" e soprattutto "Grace Under Pressure" l'uso dei sintetizzatori è prominente come tipico della musica del periodo; anzi, in quest'album la matrice elettro-pop è ancora più evidente e qui davvero il confronto con altri mostri sacri del periodo è inevitabile... ma i Rush fanno tutto con la personalità e la classe di sempre. La cura per le melodie e per le strutture non è mai stata un optional per Geddy Lee e soci e mai lo sarà. E questo approccio seppur molto tendente al commerciale non si concretizza mai in banalità ma in un prodotto sempre molto raffinato; i Rush ci hanno sempre abituato a rinnovarsi continuamente senza mai sbagliare il colpo e direi che anche questo è un prodotto più che dignitoso. Sinceramente devo proprio dire che non è per niente facile creare un disco sicuramente orecchiabile come questo senza compromettere il gusto per le cose fatte bene e ben curate... e c'è da dire che i Rush se la cavano egregiamente; c'è da meravigliarsi come il periodo ottantiano, terreno poco fertile per l'originalità e favorevole invece alle melodie più standardizzate (solo così si spiega la decadenza del progressive rock), non sia d'intralcio alla personalità del gruppo. Questo album, quindi può risultare di buon ascolto a chi teoricamente ascolta ciò che passa il convento, ma colpisce comunque i fan vecchia data dei Rush, quelli che li hanno sempre apprezzati per la voglia di andare sempre oltre ciò che fanno.

E così ecco 8 tracce molto azzeccate, che scorrono veloci, dirette, colpendo nel segno! La prima traccia "Big Money" è una di quelle opener tipicamente d'impatto, adattissime ad aprire il disco. Qua la chitarra di Alex Lifeson è decisamente in primo piano con quel suo suono limpido e ritmico e le parti di tastiera sembrano più di completamento, inserite però nei momenti giusti. Ma "Grand Design" è tutt'altra cosa, qui i giri di synth riportano chiaramente in mente sonorità pienamente eighty, soprattutto il riff centrale! Splendida anche la traccia n° 3 "Manhattan Project", con le tastiere impegnate a creare atmosfere oscure e delicate senza però deviare dal sound tipico del resto dell'album. "Marathon" è invece esalta la vivacità più che in ogni altra traccia grazie all'ottimo gioco ritmico del basso di Lee, impeccabile come sempre, e ad un ritornello sicuramente dei più orecchiabili della loro carriera, con le note di synth che soffocano volutamente il resto della strumentazione, ma sempre ben costruito. Niente male anche l'assolo di Lifeson prima dell'ultimo ritornello. Atmosfere particolari e surreali con le tastiere in primo piano in "Territories" e ancora una volta giri di synth in pieno stile anni ottantiano. "Middletown Dreams" comincia con un bel riff elettronico seguito da delicati tocchi di chitarra ma il momento migliore del brano è la parte di synth centrale che avvicina i Rush allo stile pop anni '80 più che in ogni altro momento del disco. Leggermente sottotono la penultima "Emotion Detector", con le sue particolari atmosfere orientaleggianti, splendida invece la conclusiva "Mystic Rythms": sintetizzatori protagonisti assoluti, atmosfere oscure, notturne, festose, un altro esempio di come le sperimentazioni elettroniche siano per i Rush un elemento di forza in questo periodo!

Ancora una volta i Rush al servizio della vivacità... consigliato ai più solari, a chi ama scatenarsi con la musica, a chi veda in essa una grande valvola di sfogo ma a chi anche sceglie le cose fatte come si deve e a chi vede nella banalità un elemento in grado di far perdere fascino alle cose!

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