Album sfornato dalla band nel 2007, "Snakes and Arrows" conferma da un lato il percorso iniziato nell'ultima incarnazione sonora dell'ecclettico trio canadese, partorita ormai 8 anni fa, con il bellissimo come-back "Vapor Trails"; dall'altro c'è forse ancora più potenza e convinzione in quello che sembra ormai una perfetta sintesi di una carriera ormai più che trentennale, mischiando sapientemente sonorità rock contemporanee con arpeggi acustici che non rimpiangono ma rimandano direttamente ad album storici come "A Farewell to Kings" ed "Hemispheres". Chi ha avuto la fortuna di assistere ad un loro concerto ha idea della potenza sonora che il gruppo dal vivo offre, senza lesinare in energia, presentando un mastodontico muro sonoro, incredibile se si considera il fatto che sul palco sono solo i tre componenti, epigoni delle migliori scuole e maestri dei propri strumenti.
Ogni singolo brano di quest'album è una perla del rock in senso ampio, perché i Rush non sono per le etichette, ma per la musica: melodie forti e mai banali, un tappeto sonoro di chitarre acustiche ed elettriche perfettamente equilibrate, un drumming, anzi, IL drumming, fatto di vera tecnica, mai fine a se stessa, ma sempre in funzione del brano, e pura energia. Ma fin qui, in fondo, è quello che dei Rush abbiamo sempre saputo, la loro identità. E si possono spendere parole per pagine sulle loro virtù come musicisti e compositori. Allora lasciatevi trasportare dalla musica di "Snakes and Arrows", come uno di quei vecchi album che andavano ascoltati dall'inizio alla fine: viaggiate fra la potenza di un anthem come "Far Cry", primo singolo, figlia diretta e perfetta di "Tom Sawyer", ma contemporaneamente diversa e nuova; lasciatevi ammaliare da "Armor and Sword", in cui si alternano intrecci acustici e potenti chitarre elettriche, melodie orientaleggianti e un basso onnipresente e pulsante; seguite le cavalcate che suonano eterne di "Workin' Them Angels", "Spindrift" e "The Way The Wind Blows" (dalle forti reminiscenze blues), I sapori elettro-folk di "The Larger Bowl", gli avvincenti intermezzi strumentali di "The Main Monkey Business", "Malignant Narcisism" e l'omaggio zeppeliniano di "Hope" (dagli echi alla "Black Mountain Side").
E ci sono ancora "Faithless", un bellissimo brano che ricorda le atmosfere anni 90 del gruppo, "Bravest Face", "Good News First" e la conclusiva "We Hold On", pezzi senza tempo, originali e classici al contempo. Se ci si avvicina per la prima volta al gruppo, questo potrebbe essere l'album ideale, migliore di qualunque Greatest Hits: produce quasi subito dipendenza, in poco tempo senza rendervene conto avrete collezionato l'intera loro discografia. Se invece, per qualche arcano motivo, vi eravate allontanati da loro, è un occasione per ricordarsi che la buona musica è fatta di classe, sudore, creatività e talento: i Rush hanno sempre fatto musica di qualità, per la gioia delle nostre orecchie, e quest'album non fa nient'altro che ribadirlo con convinzione.
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