Ad eccezion del documentario "Pandora Peaks" (2001), dove appunto Russ Meyer si appresta a descrivere le scalabili tette della signorina Pandora, "Beneath the valley of the ultravixens" è l'ultimo film del Grande Indipendente, formatosi alla scuola di Horacio Alger e Playboy, e distintosi nella Seconda Merda Mondiale come documentarista d'assalto (alcune riprese d'archivio presenti su "Patton generale d'acciaio" sono opera delle manine sante sue). Un testamento non direi, almeno nell'intenzioni del Regista Americano, anche perchè era uomo troppo amante delle tette per chiamarsi la morte, avvenuta 25 anni dopo.
Certo che a guardarlo come testamento... sarebbe un bel regalo, che ogni regista dovrebbe realizzare: un inno gioioso ai piaceri della carne, una rapsodia dei promontori rosei delle sue burrose protagoniste, che Meyer ogni tanto si scopacchiava grazziaddio, e una bella presa per i fondelli del parvenu medio ammerecano aho!
Dato che qui su DeBaser ormai tutti han 21 anni e sanno di chi son figli in breve riassumo la storia: siamo guidati dall'Omero meyeriano (il fido attore Stuart Lancaster) nelle meraviglie della piccola città americana....
Trattasi di giovane marito Lamar (Ken Kerr) che vuole fare il salto di qualità e studia algebra per l'esame che lo porterà lontano da quello di dipendente della discarica auto di Sal, elefantiaca nera, arrapatissima de ello e dai colleghi infidi, il cui sangue è del color del carattere (uno dei due è uguale a Peter Lorre). La moglie Lavonia (Francesca Kitten Natividad) vorrebbe che si occupasse meno di algebra e più della sua irsuta potta.
Lavonia, ispanica dal corpo monumentale, erotico e sanamente volgare, e dalla sorridente faccia da fumetto (penso a Meyer e mi viene in mente LI'l Abner) , un po' s'arrangia con scopacchiate extraconiugali con camionisti bovini, un po' cerca di invogliare il maritiello con "vibranti" immersioni in vaseline e voluttuosi ammiccamenti di zinna. Sempre guarnita di vestagliette svolazzanti color tovaglia.
Lamar riesce soltanto a compiere l'atto nel secondo canale, con disappunto di Lavonia, che vorrebbe una relazione più completa e accusa Lamar di egoismo; ricorreranno alle cure di una predicatrice via radio Eufala (Ann Marie), il cui silicone contenuto nei seni probabilmente farebbe diventare livida di rabbia Pamelona Anderson. Con canti, inni, battesimi e trombate, Lamar (sfuggito ad un dentista checca, inferocito dall'ardore per la sua bellezza vrile), liberatosi dell'energumeno via camion e riconquistata Lavonia (che tra i vari tentativi di recuperare la retta libido a Lamar si "traveste" da teaser in un mexican bar col nome di Lola Langousta) riuscirà a recuperare l'armonia amorosa e sessuale. Tutti i salmi (Gimme that ol'time religiooooon) finiranno in gloria nel solito deserto con le aggraziate e pacifiche figurine felici del bollore delle loro carni congiunte...
So, lo leggo dai vostri sguardi che, mi riferisco a chi non ha mai visto un film di Meyer, troverete la storia peggiore di un film di Mariano Laurenti. Ma ciò che rende il cinema di Meyer grande e piccolo quello della scorreggion commedia italiana è che Meyer, anche con budget risibili, è un autore e competente. Il frenetico montaggio delle scene, l'ossessione per i particolari, very very pop senza volerlo essere, i contrasti accesi dei colori, gli stessi corpi delle sue maggiorate ipertrofiche e solari, sono dei pezzi unici del modernariato cinematografico, e di alta quotazione.
Oltretutto Meyer porta avanti un suo punto di vista: sul cinema, sul mondo, sugli U.S.A.. Per lui il cinema è un oggetto manipolabile come la plastilina, un taglia-cuci bric-a-brac atto a stupire le pupille, gli ormoni ma resta incollato alla realtà provinciale. Che trova ridicola e meschina ma senza condanne: la salvezza è un paio di gambe spalancate. Le figure femminili sono decisamente superiori al maschio (e Meyer non era nè un progressista nè un femminista). Il loro corpo voluttuoso, festoso, caliente è la rappresentazione del "SI'" alla vita, senza patemi nè rincorse. Meglio fottere che comandare.
Per i maschi calare le brache è più difficile; ricordo come rappresenti il conflitto tra voglia di potere e impotenza sessuale nella figura del poliziotto su "Supervixen" (interpretato da Charles Napier, il capo dei Good Old Boys dei blusbraders). e non son bastardi son bambini: Lamar, il protagonista di "Supervixen", quello di "Up!" (indovinate Up che cosa...) sono bambocci bellocci spaesati e facili da gabbare. Se non ci fossero le Superdonne sarebbero nei guai o intenti a prendersi una laurea...
Super caleidoscopico, frizzante, con il doveroso omaggio al Luogo Prediletto di Russ Meyer: il deserto, protagonita di molti suoi altri film , quelli del periodo serio (tra cui il capolavoro "Faster pussycat kill!kill!"). Tabula rasa terrificata dove l'uomo (maschio) deve fare i conti con se stesso senza paraventi nè paraculi. Immortale la scena iniziale: una biondona mandibola gingomma, primo piano del volto illuminato da un bagliore lampeggiante. St agiocando al mitologico ping pong, il paleogioco elettronico duastebianche e un puntino a far la palla, lento la morte, consolle Odyssey.
Dietro lei Martin Bormann (fissa nazi di Meyer) suona un piano che si rivela farlocco: è un piano a rullo. Il vecio nazista si denuda e si ficca in cassa da morto. La biondona (che è poi la predicatrice Eufala Roop) stacca le palle degli occhi dal gioco e scopriamo che il suo monumento corpo è inguainato da un abito che sembra una rete da pesca bellbottom. Ripresa della danza erotica dal basso, con le megatette a far ombra... oooh, diamine.
Guardatelo!!!!
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