C'è l'inquadratura per eccellenza del cinema tutto: il viso di Varla in una concentrazione di trionfo, nell'apoteosi di un istinto agonistico adrenalinico, incastonato nel volante della sua Porsche nera, inquadrato dai pedali, da giù a sù.
Ma in film è tutto un sottosopra di iperboli, di mistificazione, di realtà. La nostra estetica deviata ci fa pensare ad una genialata artistica da parte del regista l'uso del bianco e nero. E invece il film non è stato girato a colori perché l'altra pellicola acromatopsica costava di meno. A corto di sghei Russ fa virtù delle difficoltà economiche e con quattro soldi gira una cosa che dovrebbe fare piazza pulita di tanti registi che col culo coperto fanno i gaggi.
Mi viene in mente Jodorowsky che rispose alla domanda "chi fosse il regista più grande?" che se lui avesse avuto un budget di milioni di dollari per girare sarebbe stato lui il regista più grande di tutti, in culo a voli pindarici di creatività de 'sto cazzo. Ma Russ Meyer con un atto psicomagico che passa dalla quinta (misura) in sù, con quattro spiccioli in saccoccia, è l'eccezione che lo "ereziona" ad uno dei più bravi registi di sempre.
Perciò la secchezza del set e la povertà della troupe (tre, quattro persone massimo) mi fa pensare alle peripezie di Tarkovskij, fratello siamese agli antipodi del nostro erotomane abbondante, che girava anche lui con quattro gatti e mezzi di fortuna. Mai il detto "chi fa da sé fa per tre" fu più azzeccato: pochi tecnici, pochi attori, tutto ridotto all'osso, si gira nel deserto e chi s'è visto, s'è visto.
La resa finale è incredibile, non c'è un tempo morto, non c'è un riempitivo, non c'è un passaggio a vuoto, ogni inquadratura è la perfezione con punte dove in alcuni attimi il fotogramma "scompare" nella densità energetica manifestata, nella frenesia del prana. Tura Satana eternizza il tutto, è la mattatrice fuori da qualsiasi giudizio, da considerazioni, ammalia tutti, pure i cactus. La forza distruttiva, finalmente di una purezza nichilistica scevra da associazioni, si dipana spietata lungo tutto il film, lo scorticamento è assicurato.
La parte lesbica della bisessualità di Varla palestra clitoridi che stimolati all'inverosimile da leccate interminabili come se non ci fosse domani, evolvono in volume passando dal presentarsi come un bottoncino a consistere come una pallina del pachinko, incluso il retrogusto ferroso rinforzato da mestruazioni appena passate.
La sudditanza di Rosie (Haij) è totale mentre alla bionda Billie non le si risparmierà la reprimenda definitiva, per la sfrontata indipendenza dimostrata. Varla vuole tutto! Insolentemente nell'apoteosi di un delirio d'onnipotenza stalkerizza, burattineggia, violenta chi le capita a tiro. È una creatura con una possessione al materico che sfocia in un'ipnosi al satanico che contagia tutti quanti, è il suo "carattere".
Espansa risulta dunque la pellicola che si basta costruendosi la sua morale. I dialoghi, affilati come bisturi, scoperchiano senza filtri le possessioni e le miserie dei convenuti. In ultimo per assurdo l'unico ad avere le idee chiare è "il vegetale", il fratello scemo di Kirk, lui tanto acuto che in un attimo si beve il cervello sedotto inevitabilmente dalla virago.
Ma lo scettro del comando ce l'ha sempre in mano Varla che piega anche quel marpione dell'old man, ma che con l'abuso della sua onnipotenza accelera il boomerang della causa-effetto e raccoglie quello che semina. Non ci resta poi che la "condanna" finale di rimanere con i sopravvissuti, brave persone di "buoni" sentimenti...
Visto per la prima volta (sottotitolato, per fortuna) sul grande schermo dell'arena estiva vicino allo stadio Olimpico di Roma in un luglio del 1992, tagliò corto i miei sbadigli visto che fu proiettato dalle 0:30 in poi. E poi, di lì a poco, rivisto (e videoregistrato) su Fuori Orario di RaiTre sempre a notte inoltrata, insieme a diversi altri film della "Bosomania". E poi comprato in DVD in quell'edizione irritante col doppiaggio infimo in italiano e SENZA i sottotitoli ita nell'audio originale. E poi proposto ad un nutrito numero di amici e conoscenti e visto a casa di uno di questi dove scatenò reazioni discordanti, tra cui un urlo contro Tura attrice, all'ultima scena del film, di una fanciulla presente che si accalorò non poco in quel vortice che crea il film.
Insomma un film a Go-Go! (Dancer) dove nessuna strada porta a Roma e la vasca da bagno rovesciata di quel Porsche 356 ci serve una bella doccia fredda, dove le nostre sicurezze da latin lover vanno a finire sedute su quella carrozzina del vecchio storpio, dove "assaggiamo" il lato oscuro di una femminilità amazzone in salsa karateka per niente rassicurante.
Insolente e osceno Russ Meyer mette in riga il nostro dilettantismo visivo dove trasforma in tattile lo sguardo e revisiona il passato e futuro con una cromatura che riflette una robusta maturità rispetto all'asilo nido di tanti suoi figliocci autistici smascherati da questo suo drive-in psichico, gustato più che mai in quest'opera. Ho il mio quadro sempre in bella vista del fotogramma delle tre "ragazze" appoggiate al Porsche alla stazione di benzina in mezzo al ddeserto, guardandolo mi fa sentire bene, mi fa sentire "altrove".
La vibrazione verticale che va a ritmo della voce narrante dell'inizio del film ci "tranquillizza" subitamente: "Signore e signori, benvenuti alla violenza!", ergo perciò...
FASTER PUSSYCAT KILL... KILL!
Filmed in Glorious Black and Blue
SUPERWOMEN!
BELTED, BUCKLED and BOOTED!
Capito?
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