Parenti prossimi dei Pelican, nonchè amici e concittadini, i Russian Circles da qualche tempo stanno cercando soluzioni stilistiche e sonore il più possibile autonome, distaccate da coloro a cui si sono ispirati inizialmente. Partiti da fondamenta tipicamente sludge/post-metal, richiamando anche gruppi come Isis e Neurosis, li ritroviamo in questo 2009 a confezionare un buon album principalmente d'atmosfere post-rock/drone.
Ascolto "Geneva" e precipito in un "the day after" post catastrofico, post industriale, post tutto.
Cammino a passi timorosi e incerti, percorrendo una strada che sembra non avere inizio nè fine. Dentro di me l'agghiacciante la sensazione di essere rimasto l'unico essere animato della terra. Intorno a me solo enormi, granitiche pareti solide e fredde come l'acciaio che aspettano solo di essere demolite da un intervento metafisico, divino...O diabolico.
Infine il sollievo, il dolce risveglio dall'incubo... Ma dura poco.
Il trio di Chicago mi invita, sornione, a fluttuare in dimensioni ora limpide, dilatate, sinuose, ora rarefatte e claustrofobiche. Mi scuote da un morbido ma gelido torpore emozionale fino a mitragliarmi in progressive esplosioni di ruvida primordialità, come se fossi sprofondata nelle viscere di un vulcano in eruzione per poi ritrovarmi sfinita ma miracolosamente illesa, prigioniera in una coltre di fumi sulfurei, conseguenza d'infernale sconquassamento sonoro.
E dopo, si ricomincia, la trance intima e oscura, l'impressione di solitudine mi riavvolge.
Totalmente strumentale, l'album è un tira e molla tra sensazioni opposte e complementari fra loro. Non fa rimpiangere melodie canore che toglierebbero probabilmente pathos, interrompendo una catena di eventi sonori d'impatto emotivo già sufficientemente enfatico. "Geneva" potrebbe essere l'opera della maturità artistica dei Russian Circle, quasi perfetta se non fosse per una percezione di lieve incertezza nella composizione di alcuni brevi passi che risultano un po' dispersivi e ripetitivi: pecca a cui si può passar sopra, data l'ottima qualità esecutiva dal punto di vista musicale, tecnicamente ineccepibile, specialmente da parte di un eccellente batterista qual è Dave Turncrantz, che in questa occasione mette da parte protagonismi e sfrenate invadenze che in passato sembravano essere, a detta di molti, il suo tallone d'achille.
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