L'immagine scelta per la copertina dell'ottavo lavoro della band dice già tutto: una costruzione infinita di note musicali che non smette mai di salire, toccando ancora una volta vette elevatissime.
Geometrie perfette, quadrate, squadrate.
Album concepito durante il buio lockdown; ognuno isolato nella propria abitazione ha creato la sua parte. Basso, chitarra e batteria divisi in modo equo, senza sopravanzare gli altri strumenti. Poi è arrivato il momento di riunirsi, di ritrovarsi presso gli studi Electrical Audio di Steve Albini. Aiutati nella stesura definitiva da un gigante nella produzione di questi catartici suoni: Kurt Ballou dei Converge.
Un album compatto, compresso nella sua durata inferiore ai quaranta minuti.
L'abituale, ma pur sempre dannatamente efficace, Post-Metal strumentale che vive di contrasti, di opposti. Un'altalena di momenti silenziosi che cedono il passo ad un rumore ciclonico, violento e selvaggio. Ed allora mi basta citare i nemmeno due struggenti, liquidi, tristi minuti di Ó Braonáin che si spengono nella deriva, lasciando il corrosivo passo al simil Black-Metal di Betrayal che diventa Doom spettrale, con chitarre sature all'inverosimile di torbido fango in piena.
Si ritorna a sognare con la conclusiva e rarefatta Bloom dove a primeggiare sono inusuali note acustiche...che diventano riverberi crepuscolari, ammalianti, definitivi.
Hanno ancora trionfato i Russian Circles! Uno dei miei vertici in Musica dell'anno.
Ad Maiora.
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