Una lenta e inesorabile discesa negli anfratti della psiche. Un viaggio lungo e tortuoso che ci porta dritti al centro del cuore, dove tutto confluisce e si sprigiona. Prorompente e arrabbiato, il nuovo album degli americani Russian Circles è pura estasi e violenza, al quale anche il meno avvezzo alle sonorità della band non riuscirà a resistere.

Memorial parte in sordina, con un incipit lento e delicato. Un minuto e mezzo per prepararci al viaggio cosmico, ai macigni di roccia lavica che ci verranno addosso, si pianteranno nel petto e non ti lasceranno più. Uno schiaffo in pieno volto quello di "Deficit", magmatico e intenso pezzo strumentale di vero e inebriante post metal. Le chitarre esplodono rumorose e pesanti superando il muro del suono, la batteria pestata con violenza si conficca nel nostro cervello come fosse un proiettile arrugginito.

Gli archi inaspettati in "1777" fanno di questo brano uno dei più sorprendenti del disco, epicità mischiata a catarsi e inquietudine. La lezione degli Isis, dei Neurosis e ancor prima dei Katatonia è tutta condensata in questi sette minuti di pura genialità ed emozione, mostrando tutta l'abilità dei Russian Circles di stratificare le melodie, accelerare improvvisamente in una corsa senza freni per poi rallentare, frenando e aprendo gli occhi verso una dolcezza momentanea.

"Cheyenne" ci lascia giusto il tempo per riprendere fiato, prima di addentrarci nello spesso e pauroso buio di "Burial". Qui nessuno si salva. Nessuno troverà uno sbocco verso la luce, un'apertura verso il cielo. Tutto è dannatamente oscuro, non si vede niente e la paura ci sconvolge l'animo. Erano anni che un brano strumentale non instaurava nell'ascoltatore un'ansia così forte, un'angoscia così tangibile, una serie di emozioni spaventose ma gratificanti.

Intrappolati nel cerchio della violenza, non sappiamo come fuggire. Ma quando parte l'assolo di "Ethel" non riusciamo a non pensare che forse, in fondo, restare prigionieri della musica dei Russian Circles non è poi così male. L'intensa melodia ci acquieta, stempera le nostre ansie e le nostre paure facendoci librare nell'atmosfera post rock di questo brano.

Il cerchio si chiude, e stavolta nulla può più farci uscire. Ma non volgiamo uscire, ammaliati e rapiti dalla bellezza tenebrosa di questo album. E quando tutto sta per finire, quando il vortice di vulcanica violenza e rocciosa austerità sta per sopraffarci, arriva alle nostre sinapsi cerebrali una voce di donna, una voce lontana dai tratti angelici. La dark lady Chelsea Wolfe appare come un fantasma nell'ultimo indimenticabile tassello di questo album. E noi, spiazzati dalla magnifica musica che ci avvolge, rimaniamo inermi, sdraiati sul terreno freddo e umido della nostra prigione circolare.

I Russian Circles hanno trovato l'ispirazione, come mai prima d'ora. Hanno raggiunto la maturità e salendo le scoscese montagne raffigurate nella copertina di questo loro "Memorial" sono riusciti a toccare il cielo con un dito. Un livello altissimo per questa band, che, in un anno densamente popolato di grandi ritorni e gradite sorprese nell'ambito del metal, si fa strada e supera quasi tutti.

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