La Warp Records è una di quelle case discografiche che non te la mandano a dire rispondendo alle richieste di mercato in maniera intelligente e senza pensarci due volte.
In vent'anni, infatti, sono sempre stati al passo coi tempi adattandosi sì ma alla loro maniera proponendo prodotti che fossero "di tendenza" ma, soprattutto, di qualità.

Anche se i Maximo Park e i Grizzly Bear sono i casi più eclatanti di quanto questa label sia in grado di sposare i due concetti di cui sopra il disco di cui andrò a disquisire è decisamente degno di nota.

Si tratta del disco di esordo di un pischelletto di Glasgow, Rustie, turntabilist che per un certo senso ricorda il suo compare (sia di stato che di etichetta) Hudson Mohawke per la comune passione per l'hip-hop e per una contaminazione che strizza l'occhio alla dubstep e ad una certa cultura rave/bigbeat anglosassone che molti ritenevano scomparsa.
L'album, che ha una copertina che potrebbe presagire contenuti eleganti e spocchiosi, è un concentrato di suoni vecchi e nuovi del sottobosco hip-hop e rave-oriented del Regno Unito: da un lato il break-beat tipico dei turnabilist più audaci (e qui torna Hudson Mohawke??) e le tastiere che avevamo imparato ad amare grazie a Liam Howlett (che senza dubbio è da annoverare come una delle maggiori influenze di Rustie non tanto per il suono ma perchè si sente chiaramento che il giovine in questione sia cresciuto a pane e Prodigy... a confermare la mia tesi posso citare la title track, Glass Sword, per le linee di batteria); mentre dall'altro lato abbiamo tecniche più moderne come l'auto-tune "bambinesco" alimentato da ritmi e melodie da video-game (usato in maniera intelligente e che si sposa quasi perfettamente con i break-beats) e il riferimento alle nuove tendenze nel campo della club music (qualcuno ha detto "dubstep non scoreggiosa"?).

In sostanza un disco decisamente buono, una delle pochissime produzioni meritevoli del genere, che tratta tematiche ritmiche e melodiche attuali ma che le destruttura completamente infarcendole con una dose di old-school made in UK e che giura eterno amore al mondo del turntabilism più puro con break-beats imperanti e granitici.

Anche stavolta la Warp l'ha messo in saccoccia a tutti quanti accaparrandosi uno dei pochi artisti lodevoli e capaci in un panorama (quello dubstep) non proprio composto da stelle...

Best tracks: Surph, Hover Tracks (i loops vocali tratti dai videogiochi di Zelda, per quanto ultra-abusati nel genere, donano una marcia in più), After Lights

Skip tracks: se vogliamo la tamarrissima e west-coastiana City Star, ma in realtà non vogliamo quindi nessuna skip track...

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