C’era una volta, su delle colline ai confini di Los Angeles, un sobborgo chiamato Chávez Ravine ed abitato per lo più da latino americani, che vivevano intervallando la loro miseria all’incertezza del domani. Era una vera e propria cattedrale della povertà collocata ai margini della fiorente città degli angeli, i cui lussuosi quartieri e palazzi, sfacciatamente protesi verso il cielo, crescevano giorno dopo giorno. Contraddizioni... ma poco importava al popolo di Chávez Ravine, che aveva fatto della sua terra una piccola Shangri-la dei miserabili, dove ogni giorno scorrevano storie, alcool, musiche, risate e tante piccole, dunque grandi, felicità.
Un giorno l’opulenta città si rese conto che Chávez Ravine era lì e decise di modificarne l'esistenza.
Ora, se questa fosse una favola, la narrazione dovrebbe proseguire in modo tale da concludersi con il classico: "tutti vissero felici e contenti". Ma questa non è una favola, è realtà, è una storia americana del 1950, che invece terminò con l’arrivo delle ruspe e la distruzione del quartiere, dove ancora oggi fa bella mostra di sé il campo da baseball e lo stadio dei Brooklyn Dodgers costruito al suo posto.
È toccato ad un artista sensibile, attento e curioso come Ry Cooder riportare alla luce questa storia di ordinaria ingiustizia e decifrarla in quindici splendide canzoni, che mostrano l’incerto confine fra la malinconia e la calorosa vitalità dell’animo umano.
In questa musica splende il sole caldissimo di Chávez Ravine spento dalle ruspe e la luce dei suoi abitanti, ancora vivissima almeno nel ricordo, ma non mancano momenti di introspezione più intimi e delicati. Brano dopo brano si intrecciano i fili di un racconto, che sembra sgorgare da una vecchia e polverosa radio sintonizzata sugli States del 1950, quelli del senatore Joe Mc Carthy e J. Edgar Hoover, quanto del pugilato come sport epico o di meravigliose cantanti in sale da ballo traboccanti di ragazze, rumba e liquori. Chávez Ravine è, quindi, un disco sul passato e sulla differenza, quella che non piaceva ad alcuni e che ancora oggi si vuole cancellare od omologare. La risposta della memoria si accompagna, però, all’orgoglio ed alla forza della cultura, rendendo in questo modo la musica un veicolo di idee.
Sotto l’aspetto prettamente musicale, invece, l’album si ricollega idealmente al viaggio nell'universo latin, che Ry Cooder aveva intrapreso nel 1997 con la riscoperta delle vecchie glorie cubane del Buena Vista Social Club, ma con delle differenze. Innanzitutto, questo è un vero e proprio disco di Ry Cooder, perché, nonostante le numerose collaborazioni, la sua figura risulta in primo piano nel mescolare la sua chitarra al latin, al jazz, alla rumba ecc. Il musicista, insomma, appare molto coinvolto in questo progetto, in cui ha effettivamente messo l’anima.
La seconda peculiarità, rispetto a Buena Vista, consiste nel fatto che Chávez Ravine è indirizzato alla riscoperta di musiche latine che presentano una matrice differente da quella cubana, essendo incentrato su atmosfere ispanico-americane. Così la lingua dei brani è spesso un ibrido fra inglese e spagnolo (spanglish) e si avvertono costantemente suoni spuri, vissuti al confine tra California e Messico, resi celebri dalle voci di artisti del calibro di Lalo Guerrero. Quest'ultimo ha fatto appena in tempo ad essere presente in questo disco prima di morire. Ma la lista di "comprimari" e vecchie glorie – si diceva - è lunghissima quanto impressionante: dal magico bassista Mike Elizondo, al suono visionario della tromba di Jon Hassell, alla fisarmonica di Flaco Jimenez, fino alla voce viscerale di Little Willie G.
Soffermarsi su ognuno di essi o sulla descrizione delle singole canzoni è davvero impossibile in poche parole, ma tanto quello che più conta è sottolineare, accanto al talento, qualcosa di più raro: il cuore.
Infatti, l’ascolto lascia forte la sensazione che ogni musicista abbia messo una passione sincera ed intensa in questa musica ricca di energia. Qualità umane veramente rare, che rappresentano quel quid in più capace di rendere questo disco semplicemente splendido.
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