Ascoltare questo disco è sentirsi catapultati in un altro mondo. Niente di metafisico, no. Solo polvere, terra, volti, tante facce diverse. Ognuna porta una storia, ed ognuna ce l'ha scritta in volto, e può essere una canzone. Uno che può diventare matto per una sigaretta, e poi quando finalmente la può fumare si sente bene. O un divorzio messicano, oppure pensare che tutto è finito, e come sarebbe bello se anche i muri potessero parlare...
E poi una chitarra sempre a portata di mano, come nelle migliori tradizioni. Ecco, sembra quasi di vedere una scena di qualche western alla Sergio Leone, con il buon Ry - il "filologo", come forse viene chiamato negli ambienti colti - a suonare appoggiato a terra contro un muretto. E tutto intorno i suoi compagni, quelli che con lui condividono la stessa idea di Musica.
Tutto il disco possiede questo profumo, questo intenso aroma di un tempo andato, che bellissimo fu e mai più tornerà. Nelle dolci armonie di Tattler ripensiamo proprio a quella ragazza, sì, proprio quella, il suo viso dolce stampato in fronte. La più bella canzone mai composta da Ry Cooder, che si scrive "musicista" e si legge "ricercatore di tesori perduti". Quello che riprende i tradizionali di Temp 'Em Up Solid e della marcetta - stupenda, invero - Jesus on the Mainline, sorretto dalla sezione fiati magistralmente diretta da George Bohanon. Quello che altresì omaggia Bobby & Shirley Womack con una travolgente versione di It's all over now. Quello che suona divinamente il proprio strumento per tutti i 37 minuti e passa del disco. Quello che appena senti la sua voce in Ditty Wah Ditty dici "ma no dai, come fa a cantare questo? Ma non era meglio se continuava a suonare?..". Ed invece poi ti coinvolge, ti piace. E poi, verso la fine, arriva quel piano, con il grande vecchio Earl Hines che sbuca da un angolo di uno sperduto e fumoso saloon...
E siamo al quarto disco per Cooder, Annus Domini 1974. E se il Nostro si er fatto conoscere già nel 1969, suonando la slide in Love in Vain nel "Let it Bleed" di stoniana memoria - mentre il suo esordio sarà ritardato di un anno - con questo viene raggiunta la cosiddetta quadratura del cerchio. Non che un album come "Into the Purple Valley" fosse di molto inferiore od acerbo, per carità. Ma sicuramente al quarto tentativo Cooder prende pienamente coscienza del suo ruolo di "catalogatore" e "riesumatore" all'interno del mondo della musica rock in generale. Un po' come aveva fatto - a modo loro - la premiata ditta J&R alcuni anni prima, con i primi album (e non solo). E come ha ripreso poi, andando in profondità, questo talentuoso e geniale chitarrista. Un personaggio caduto immeritatamente nell'oblio già da tempo, che meriterebbe senz'altro un altro grado di attenzione, non foss'altro per il ruolo svolto all'interno di una costante rilettura e ricerca delle nostre radici.
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