Ry Cooder è uno di quei chitarristi che ottengono riconoscimenti e aprrezzamenti in maniera trasversale. Tutti giustamente meritati, dato che si tratta in primo luogo di un grande musicista, secondariamente (ma questo non è meno rilevante) di una di quelle figure che fanno bene alla storia del rock e in generale al mondo della musica. La sua bravura comunque sta non solo nell'essersi disimpegnato in esperienze diverse e sempre con grandi risultati: i Taj Mahal, la collaborazione con gli Stones (compreso il disco "fantasma" con Edward e le polemiche con Keef) e altri giganti della storia del rock come Captain Beefheart oppure Neil Young e la sua produzione solista, tra cui non si può non menzionare quella come session man e compositore di colonne sonore. Quella di "Paris, Texas" di Wim Wenders (1984) lo ha reso immortale. Ma a parte tutto questo penso che si possa riconoscere nel suo stile, sia come chitarrista che come compositore, un suo "taglio" specifico e questo nel genere "americana", che ha una storia lunghissima e un ancora più vasto numero di protagonisti, è un merito gigantesco. Significa che sei bravo e anche che sei una specie di caposcuola.

Quindi il fatto che faccia ancora dei nuovi dischi ancora oggi e dopo praticamente sessanta anni almeno di onorata carriera, siano questi comprensivi di nuove tracce inedite oppure di pezzi che sono dei classici della tradizione musicale americana (in questo disco, specificamente, troviamo tutte e due le cose), significa che evidentemente abbia ancora qualche cosa da dire. Peraltro la sua discografia come solista in senso stretto non si può considerare particolarmente vasta e dal suo ultimo disco, il discusso e politicizzato "Election Special" del 2012 (Perro Verde/Nonesuch) sono passati ben sei anni. Questa volta tuttavia, invece che un disco di canzoni di protesta (aveva già fatto lo stesso con "Pull Up Some Dust And Sit Down" nel 2011) Cooder ritorna un po' a quello che è il suo habitat naturale e senza comunque trascendere l'impegno politico e sociale, racconta pezzi del suo paese dedicando principalmente questo lavoro a quella che definisce "riverenza". Una parola importante e il cui contenuto viene considerato come qualche cosa di obsoleto, ma che invece scava nel profondo di ciascuno di noi ricercando quel rispetto autentivo verso se stessi come negli altri e in tutto quello che ci circonda.

Registrato e prodotto come sempre con il figlio Joachim (peraltro un eccellente batterista e percussionista) "The Prodigal Son" esce su Fantasy Records e su Perro Verde (l'etichetta di Ry) lo scorso 11 maggio. Il disco contiene pezzi inediti come la dylaniata "Shrinking Man", il Paul Simon tipo "Graceland" di "Gentrification" e un pezzo tipico nello stile di Ry come "Jesus and Woody". Il resto sono rivisitazioni di classici della musica americana e pezzi tradizionali, a partire da quella "The Prodigal Son" che dà il titolo a un disco che forse non si può ascrivere alla categoria di quelli "indimenticabili" ma che sinceramente mi sento di consigliare a chiunque.

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