Quattro anni fa Ryan Adams annunciò al mondo che aveva smesso di bere, drogarsi e fumare. E dall'espressione corrucciata di sua moglie Mandy Moore si capiva che avesse smesso anche altro. Inoltre i bene informati affermavano che tutte le domeniche lo si trovava nella chiea di Jacksonville- la sua città natale- mentre serviva messa insieme a Father Johnny. Essì, aveva smesso con gli eccessi rustici di un tempo e si era dato ad una vita più tranquilla: ritorno a casa a mezzogiorno, spesa nel frigo e vai sulla scrivania a scrivere canzoni educate con la penna stilografica della prima comunione. Il risultato erano stati due album (Easy Tiger e Cardinology) pieni di belle canzoni ma privi della follia compositiva che aveva sempre contraddistinto il discolaccio del rock. Pochi filler ma anche poche canzoni da ascoltare tremanti al buio o da strimpellare per postare il video su Youtube.

Alla fine del 2010 pubblica il doppio "Cardinals III/IV" a due anni di distanza dall'ultimo disco. Due anni! Un'infinità per Ryan, abituato a scrivere un disco al giorno, di solito un triplo. Inoltre il materiale di questo lavoro è precedent\e alla sua disintossicazione, il momento della lavatrice. Il pasto nudo, insomma.

Ed infatti torna il Ryan Adams incostante e folle che frulla in 21 canzoni tutte le sue conoscenze musicali. Il suono ricorda i suoi vecchi dischi Demolition e Rock n Roll con qualche aggiunta di Replacements senza troppe delizie acustiche. Niente viene tralasciato in questo pentolone cucinato insieme ai Cardinals: si passa dal rock n roll anni 60 di "Stop Playing with  My Heart" e "Star Wars" - Ehi, fischietto una canzone di Ryan Adams- al quasi metal di "No" e "Icebreaker". In mezzo canzoni che avrebbero fatto miglior figura solo chitarra e voce (la ciondolante "Dear Candy" e "Happy Birthday", rovinata da un synth di troppo), un furto  agli U2 ("Wasteland"), pezzi protopunk in cui si grattugia le corde vocali ("PS", "Sewers at The Bottom of The Wishing Well" e la balbettata "Users"), parentesi acustiche ("Death and Rats"), qualche reminiscenza a la Grateful Dead e persino una dedica al cane ("Gracie").  Per non farsi mancare niente aggiunge qualche cialtroneria per giustificare un doppio album (l'inutile duetto con Norah Jones di "Typecast" e il rock sbiadito di "My Favorite Song") e il pranzo è servito. Il solito vecchio Ryan, insomma. Con una punta di divertimento in più e un suono di granito. Mancano le ballate infiammate ma abbonda il materiale per incendiarsi la gola

Non il suo disco migliore. Di sicuro il più divertente e divertito.

Carico i commenti...  con calma