Con il cuore a pezzi e l'appellativo di nuovo Dylan (categoria nella quale una volta nella vita sono rientrati un po tutti, anche il mio fruttivendolo), Ryan Adams, leader dei disciolti Whiskeytown, pubblica "Heartbreaker", il suo primo disco solista.
Registrato in due settimane con l'aiuto di David Rawlings e Gillan Welch, il disco presenta i dolori del giovane Ryan alle prese con una delle tante delusioni amorose. Ma chi si aspetta un disco livoroso ha sbagliato copertina.
Nessuna traccia del punk-folk di alcuni brani dei Whiskeytown ("Drank Like A River" da Faithless St su tutte): per evidenziare il massacro emotivo il bimbo prodigio si serve di pochi strumenti, spesso solo la chitarra acustica, e dellla sua voce, limpida ed espressiva come poche: maggiore è il caos, minore è il bisogno di urlarlo.
Certo, non di solo spleen si nutre il nostro; non mancano infatti gli uptempo (e se no a cosa serve tutta quella cocaina?) come "To Be Young" (introdotta da una discussione con Rawlings riguardante "Bona Drag" di Morrisey), booogie and roll ubriaco da cantare alla fermata della metro bevendo whiskey e cola o "Shakedown on 9th Street", un pezzo talmente Stones da far sospettare che lo abbia rubato dallo zaino di Keith Richards.
I veri protagonisti sono i brani sudati di malinconia, come il capolavoro "Oh My Sweet Carolina" in cui, in duetto con Emmylou Harrris, racconta del suo bisogno di ritornare a casa dopo aver "gambled up my life". O "Come Pick Me Up", amara riflessione su un amore finito che lascia tracce anche nei dischi rubati dalla lei di turno, pezzo che ha le stimmate di classico sin dai primi accordi di armonica.
Ma il vero cuore di tenebra del disco e' "Call Me On Your Way Back Home", tre minuti di resa e ammissione dei peccati che si concludono con un'armonica che squarcia vene e orizzonte. "To Be The One", "Amy" e "Why Do They Leave?" tampinano a poca distanza senza mai provare il sorpasso.
Non un disco capolavoro, ma sicuramente un capolavoro di sincerità.
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