A febbraio 2019 Ryan Adams è per tutti un prolifico musicista dal carattere scostante, non di rado definito geniale asshole da chi ne condivide capricci e inventiva. Ha appena annunciato la pubblicazione di 3 dischi, Big Colors, Wednesdays e Chris quando il New York Times pubblica un articolo bomba nel quale Adams viene accusato da 7 sue ex di molestie sessuali e di sexting nei confronti di una minorenne (accusa, quest’ultima, fatta cadere dall’FBI per mancanza di prove).

Risultato? Dischi e tour cancellati e una serie di articoli e testimonianze di persone che accusano Ryan Adams di essere un mostro. Il Rolling Stone americano pubblica un esilarante articolo nel quale analizza retroattivamente tutti i testi del cantautore della Carolina alla ricerca di indizi circa il suo comportamento.
Lui si dilegua, cambia manager, scrive una lettera di scuse al Daily Mail (“empty apologies” secondo la stampa) e a dicembre 2020 pubblica Wednesdays in versione digitale. In America non lo recensisce nessuno e da questa parte dell’Oceano ci sono due fazioni: quelli che “giudichiamo l’artista e non l’uomo” e chi “l’uomo non si può separare dall’artista per cui il disco sarebbe anche buono ma lui è stronzo: voto 4”.

Io appartengo alla prima categoria, anche perché se dovessi ascoltare solo artisti dal comportamento irreprensibile, mi limiterei a comprare Frate Cionfoli e Aleandro Baldi (il quale, essendo toscano, qualche smadonna l’avrà tirata di sicuro, in vita sua..per cui lo escludo).

Dunque com’è questo Wednsedays? Prodotto dallo stesso Adams insieme a Beatriz Artola e Don Was, per certi versi ricorda 29, il suo malinconico disco del 2006, capitolo finale di una trilogia che comprendeva lo splendido Cold Roses e Jacksonville City Nights.
È un lavoro lento, pieno di canzoni con arrangiamenti scarni che di rado si spostano da voce, chitarra e basso - suonato da Don Was - con la batteria presente in poche tracce come nella conclusiva e ottimista Dreaming You Backwards.

E’ un disco sussurrato, con testi più ricercati e interessanti rispetto alla recente produzione di Adams; è un lavoro che mescola tristezza e autocommiserazione, con alcune ottime canzoni tra cui l’iniziale “I’m sorry and I love you”, quasi un demo di Neil Young, So Anyways con la sua armonica a scompigliare le certezze o la vivace (l’unica del lotto) Birmingham con un testo accusatorio nei confronti di un ex amico (Jason Isbell?).

Ha brani struggenti come When You Cross Over, dedicata al fratello Chris e la lancinante Mamma, brano di onestà quasi lennoniana. E’ un disco notturno, invernale, da luci basse e fari spenti, uno slow burner, come dicono gli inglesi.


Con qualche accorgimento in più sarebbe stato un mezzo capolavoro ma anche così merita un’opportunità e del resto…Ryan Adams has been drinking, not Wedensdays

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