Questo ragazzo di Rockford, Illinois ha sicuramente un talento fuori dal comune e che dimostra di sviluppare sempre di più disco dopo disco e che con il conseguire una certa maturità (del resto è un classe 1989) lo porta sempre più a autodeterminarsi e formare una propria personalità e sviluppare la sua musica in maniera meno referenziale a quelle che sono le sue principali fonti di ispirazione. Ciononostante Ryley Walker non è per fortuna in nessun modo avvicinabile a forme di revisionismo della musica folk americana tipo Jonathan Wilson oppure Father John Misty, né tanto meno una specie di boy-scout tipo Marcus Mumford. Al contrario la sua collaborazione con musicisti come il chitarrista Daniel Bachman e Bill Mackay, il jazzista Charles Rumback, lo collocano in maniera specifica in un contesto più sofisticato e spiegano come pure essendo un esponente di quello che viene definito una specie di revivalismo della musica folk classica (come se questo genere fosse mai stato dismesso) le sue radici siano fondamentalmente derivative dal jazz e esperienze del primitivismo americano.
La sua devozione verso un certo cantautorato a cavallo tra la fine degli anni sessanta e l'inizio del decennio successivo e tipico dei vari Van Morrison, Nick Drake, Tim Buckley, viene quindi rivisto alla luce delle considerazioni precedenti in questo ultimo disco, "Deafman Glance" (Dead Oceans) anche secondo una certa tradizione "americana" la cui eco è evidente sin dalla prima traccia "In Castle Dome" che come "Telluride Speed" potrebbe benissimo essere una canzone scritta da Bill Callahan, pure perché la voce di Ryley ricorda molto quella del songwriter del Maryland che quindi qui in qualche modo ci appare come un riferimento costante più o meno inconsapevole. Arrangiamenti particolari di chitarra si susseguono in "22 Days", "Accomodations", "Opposite Middle" e la conclusiva "Spoil with the Rest", accompagnati da quel jazz sofisticato ma mai rumoroso oppure invadente e quasi tropicale, mentre tracce come "Can't Ask Why", "Expired", "Rocks On Rainbow" si distinguono per un approccio più sperimentale allo strumento e si strutturano in composizioni quasi minimaliste.
Probabilmente l'approccio sofisticato di Walker è qualche cosa che potrebbe limitarne un apprezzamento presso una audience più ampia che pure meriterebbe, così come forse il suo cantautorato "meriterebbe" di evolversi verso una forma più "concreta" anche sul piano dei contenuti, ma questa è forse solo una mia preferenza invece che una critica da muovere a un disco che effettivamente è bello e non presenta punti deboli e che per quanto "classico" non è sicuramente trascurabile oppure "già sentito".
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