Testosteronici: mi sembra l'aggettivo più calzante per descrivere questa band scandinava, che ho scoperto pochi mesi fa quasi per uno scherzo, goliardicamente. La mia parte più coatta si è però subito fatta conquistare dalle loro melodie orecchiabilissime e dai testi romantici e solenni. Tematica portante: la guerra.
Intendiamoci: chiunque con un minimo di sale in zucca ripudia la guerra, e chi la loda come concreto mezzo di purificazione probabilmente non ne ha mai vissuto le conseguenze. Tutti, d'altro canto, ne riconosciamo la drammatica necessità che ha avuto, sta avendo, e, temo, avrà nei processi storici. I Sabaton riportano nelle loro canzoni una visione plurale della guerra, cercando di fuggire ogni faziosità ed esaltandone il romanticismo (grande adesione ad ideali assoluti) e il dramma (il carattere distruttivo, tragico, obliante).
Pensando di trovarmi di fronte a un soggetto conosciuto del panorama metallico, mi ha sorpreso il non trovare su questa piattaforma almeno una recensione su uno dei loro lavori più fini: si sta parlando di Carolus Rex. L'opera è datata 2012, ma si configura come uno dei lavori più completi della band, ed è un buon punto di partenza per avvicinarsene in maniera stimolante. L'album si può vedere come un grande concept, che tratta ascesa, picco massimo, e caduta dell'impero Svedese, una parabola storica che si è consumata in circa un secolo (che mi sento di identificare con il diciassettesimo).
Quel che differenzia questo titolo rispetto ai precedenti e successivi lavori non è solo l'approfondimento di una sola tematica a discapito di una pluralità di epoche ed eventi, ma anche l'organicità delle composizioni; non c'è distinzione netta fra singolo e riempitivo, non c'è ricerca del catchy a tutti costi. Si ha invece l'impressione di una costante ricercatezza per trovare l'equilibrio dell'opera, che si snoda, bilanciandosi perfettamente, fra impennate di epicità e marce solennemente tragiche, tra furiose cavalcate battagliere e parentesi narrative più ragionate. Ma soprattutto, è il saper vedere ed esprimere con una soprendente lucidità le due facce della medaglia, che possono davvero elevare questo lavoro dei Sabaton rispetto ai precedenti: all'epicità delle imprese, alla solennità e al titanismo dei condottieri, non possono che corrispondere la tragicità della guerra e la caducità delle illusioni di grandezza e conquista. C'è la gloria e c'è la morte, c'è l'esaltazione e la disperazione. Non sorprende quindi vedere accostate, in scaletta, la goliardica e cadenzata "Gott Mit Uns", "Dio con noi", con uno schiaffo morale (come mai si era visto nella loro discografia) come "A Lifetime of War"; la guerra è crimine, malattia, follia, strumento supremo e fatale di appiattimento a una stessa condizione, la morte. E questo lo riconoscono anche dei cantori di guerra e valori guerreschi come i Sabaton. Per il resto, l'epopea Svedese ve la lascio tutta da scoprire.
Tecnicamente, è chiaro che ogni aspetto tende all'esaltazione del carattere epico, marziale, quasi sacro delle vicende passate; abbondano perciò archi di ogni genere, cori (dai rimandi fortemente religiosi), sovraincisioni, e in generale un grande senso di epica classicità. Non per questo si ha come conseguenza un minore mordente a livello sonoro; non mancano componimenti galoppanti nel vero senso della parola, vere e proprie frustate sonore (su tutte, "1648"), le quali mantengono costante la tensione dell'ascoltatore e accentuano quel senso ondivago e di alterne atmosfere che si riscontra nelle tematiche.
Sperando di fare scoprire a qualche altra persona il microcosmo goliardico che questa band riesce ad evocare come poche altre, non mi resta che invitarvi ad immergevi in questa emozionante epopea attraverso un secolo di guerre, con i primissimi versi dell'opening-track (tra i miei brani della band favoriti in assoluto);
"A time of religion and war,
legends tell the tale of a lion..."

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