Per tutti gli anni novanta i Saga sottoposero i loro estimatori a spiazzanti sbandate stilistiche: dopo il pomp rock alla massima potenza ("The Security of Illusion", 1993), il synth pop patinato e oleografico ("Steel Umbrellas", 1994), l'ambizioso e sostanzioso album concept progressive/metal ("Generation 13", 1995), nel 1997 fu la volta di questo autentico, inedito, deludente miscuglio techno/alternative/grunge.

Che la musica del quintetto dell'Ontario giochi costantemente sul crossover fra diversi generi è un fatto, ma di solito gli stili coinvolti sono primariamente il progressive, seguito dall'hard rock, dal pop di classe, da certi umori folk prettamente britannici (tipico dei canadesi, comunità essenzialmente anglo/francofona, propendere molto più verso le culture nordeuropee rispetto agli yankees) e persino una certa componente disco/funky nelle ritmiche. Questa inaudita sbandata una tantum verso sonorità più "attuali" deriva ovviamente dal non sopito anelito verso quel largo successo mai arriso alla formazione, adusa a prendersi tonnellate di complimenti dagli addetti ai lavori, per poi però riuscire a svettare nelle classifiche popolari di due soli paesi importanti: il nativo Canada e l'accogliente Germania, quest'ultima quasi patria adottiva.

La copertina sadomaso scelta per illustrare, crudamente ed efficacemente, il titolo del lavoro (Piacere e Dolore...), venne al tempo censurata dal distributore internazionale, il quale provvide a sostituirla con un'altra, innocua e insignificante. Lasciar perdere una simile iniziativa non avrebbe probabilmente cambiato nulla a proposito del destino da gruppo "di culto", da tempo attaccato come una scimmia sulle spalle dei cinque bravi musicisti, certo che se ci si mette pure la casa discografica a gettare bastoni fra le route dell'ispirazione artistica...

L'album è, semplicemente, il peggiore della loro rigogliosa discografia: il restyling della formazione verso territori a lei non pertinenti è condotto con maestria, mestiere, equilibrio ma sostanziale freddezza e didascalica applicazione. Fra l'altro non si trova di meglio che riciclare alcune arie della passata produzione: uno dei cavalli di battaglia del repertorio "You're Not Alone" (dal secondo album "Images at Twilight", 1979) viene infatti autocoverizzato nella nuova veste alternative, che però non può non far rimpiangere l'originale.

 E' poi facile riconoscere, nella traccia di apertura "Heaven Can Wait", la bella linea vocale appartenente alle strofe di "Say Goodbye to Hollywood" (da "Steel Umbrellas"). Allo stesso modo, il suggestivo commiato a base di chitarra acustica che termina ed intitola il disco non è altro che l'ulteriore sviluppo di un'idea melodica già usata per nobilitare una passata, eccellente canzone: "No Regrets" (da "Worlds Apart", 1981).

I suoni grungettoni applicati alla chitarra, con le loro distorsioni slabbrate e prive di attacco, non giovano allo stile fulminante e selvaggio di Ian Chricton, al suo staccato proverbiale. Stessa sorte per il batterista Steve Negus, un artista dei giochi sui piatti e della cassa in quattro, che si ritrova a suonare le tipiche figure squadrate e monotone, finto John Bonham, del rock alternativo, senza neanche disporre dell'indispensabile potenza. Per quanto riguarda il tastierista Jim Gilmour, il giudizio è parimenti negativo: un musicista squisitamente pomposo e romantico come lui, alle prese con disturbanti e affoganti frequenze elettroniche, è un abominio. Per finire, la voce accorata, composta, "leggera" del frontman Michael Sadler è l'antitesi della pesantezza e della depressione grunge.

Tentativo fallito, esperimento mal riuscito, digressione mal consigliata, minzione fuori del vaso, buco nell'acqua... anche dopo ripetuti ascolti quest'opera comunica esattamente e solo queste sensazioni.

MAI iniziare la conoscenza dei Saga da "Pleasure & the Pain": sarebbe controproducente, e ingiusto.   

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