Ho incontrato la voce di Sainkho quasi per caso qualche anno fa, ma la sua potenzialità espressiva, la varietà timbrica e la capacità di estensione mi hanno subito folgorata.

Sainkho nasce nel 1957 nella Repubblica di Tuva, regione della Siberia centro-meridionale ai confini con la Mongolia, in una famiglia nomade. Affascinata dai canti caratteristici della sua terra ha studiato le tradizioni musicali siberiane e le tecniche di canto sciamanico, lamaista e tibetano, per poi riuscire a fondere il tutto in un unico personalissimo stile che fa riferimento alla modalità diplofonica. Il canto difonico, o “throat singing”, è una tecnica particolare che permette la contemporanea emanazione di due suoni, sovratoni e armonici modulati con la gola o la testa, attraverso una sola emissione vocale e che la tradizione propria di Tuva vuole praticata dai soli sciamani.

In “Who Stole the Sky”, pezzo che conferisce il nome all’album, Sainkho passa in rassegna tutta l’estensione che le è possibile. Dai suoni gutturali, aspri e profondi dei monaci tibetani, ai suoni altissimi di una soprano limpida e cristallina, inframmezzando il tutto con i toni bassi di una pura contralto. In “Predchuvsttvije” (Priceschinie) diventa una dolce voce indiana accompagnata dai ripetitivi ritmi electro-pop, mentre in “Electric City” duetta con il bellissimo alto-sax di Giancarlo Parisi nel più classico dei jazz. Per “Kaar Deerge”, così come per “Music Mail to Tuva”, esprime il suo lato più melodico, ricordando le fragili voci che contraddistinguono le cantanti dell’estremo oriente, mentre con “Ohm Suha” si volge invece verso le impostazioni vocali delle cantanti turche per ritornare poi verso i suoni dell’india più religiosa e tradizionale con “Temple of Majtreaia”.

E infine il pezzo nascosto, la vera chicca di questo album. L’arrangiamento di Vittorio Cosma e un grandioso Stefano Bollani al piano, producono il prodigio di un puro melodico jazz a cui Sainkho consegna sfumature bossanova, accompagnate da acuti improvvisi, in cui la tecnica difonica confonde ed esalta il suono fra sfumature di dolcezza, armonia e malinconia.

Delle tre produzioni italiane, Naked Spirit del 1999 e Stepmother City del 2000 di cui desidero segnalare la splendida “Dance of Eagle”, questo Who Stole the Sky è sicuramente il lavoro più omogeneo e meno sperimentale di quest’artista descritta spesso come “una piccola signora dal cranio rasato”.

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