Sono pochi gli artisti, in ogni ambito, a generare un vero e proprio "culto" della loro persona e delle loro opere. Sono ancora meno le band che hanno saputo catalizzare, soprattutto in un ambiente difficile come quello del metal, i favori della critica e di una larga schiera di seguaci. I Saint Vitus possono considerarsi tra i membri di questo gruppo di "privilegiati". E' per questo che ogni nuova uscita degli appartenenti al "club del culto", fa discutere, sia nel bene che nel male. Si sommano aspettative, paure e nuove speranze, in particolare quando una band ha inciso il suo nome nella storia del proprio genere musicale.
Sono passati 22 anni dall'ultimo cd con Wino Weinrich alla voce, 17 invece dalla pubblicazione del remoto "Die healing" con Scott Reagers dietro il microfono. Ma a diradare le nebbie del tempo è arrivato, il 27 aprile, il nuovo faticoso lavoro targato Saint Vitus, dall'enigmatico titolo "Lillie: F-65". Un capitolo che è arrivato dopo la morte di Armando Acosta nello scorso 2010, primo ed indimenticabile drummer del combo (sostituito da Henry Vasquez).
La solita dose di turbamento che si accompagna all'ascolto di un disco "importante", non riesce in questo caso a scalfire la prima impressione che salta subito all'attenzione di un'ascoltatore avvezzo alla storia passata della band: il sound è rimasto sostanzialmente quello che ha sollazzato gli amanti del genere. Un songwriting semplice quanto oscuro che trae linfa vitale dal lavoro stupefacente (in ogni senso) dell'axeman Dave Chandler. Il tatuato e schizzato chitarrista dipinge le sue solite trame nere e drogate, che servono da architettura alla voce di "Wino": proprio il singer, tornato dopo un lungo periodo di distacco, non sembra essere ispiratissimo e il suo timbro vocale appare troppo spesso monocorde e fossilizzato su toni bassi. L'età avanza anche per lui.
Il primo brano da 17 anni a questa parte è "Let them fall", scelto anche come singolo: scelta pessima vista la qualità della song, fin troppo inflazionata dal lavoro di Chandler e priva di qualsiasi spunto. Un pezzo anonimo e senza mordente. Non brilla troppo neanche "The bleeding ground", mentre degna di nota è la strumentale "Vertigo", dal sapore melodico e dal retrogusto vagamente psichedelico. Ma questi primi brani sono nel complesso deludenti, soprattutto se rapportati all'attesa del loro concepimento. E' da "Blessed night" in poi che il lavoro prenda quota: prima con il ritmo sabbathiano e avvolgente della già citata "Blessed night" e poi con l'oscurità oppressiva di "The waste of time" e soprattutto di "Dependence", che oltre a presentare un intro soft, ha anche la sfrontatezza di inoltrarsi negli onirici solchi distorti della chitarra di Chandler, che da vita ad una parte centrale in cui si erge ad unico e assoluto protagonista.
Come sempre è un viaggio spettrale quello che la band di Los Angeles ci propone in "Lillie: F-65". Un viaggio però fin troppo breve. Sette brani, di cui ben due strumentali (decisamente tralasciabile l'ultima "Withdrawal"), sono poca cosa. Inoltre il tiro generale non è certo quello dei primi lavori e le idee sembrano essersi arenate nel vischioso suono delle pulsioni chitarristiche di Chandler: questo Lillie è un disco "statico". Zero inventiva, del tutto nulla l'imprevedibilità dei brani. Un album costruito in questa maniera, pur essendo godibile in alcuni suoi punti, puzza evidentemente di manierismo.
I Saint Vitus sono tornati. Lo hanno fatto con prudenza e poco coraggio. Un cd di questo tipo gli verrà sicuramente perdonato, ma la sensazione è che Wino & Co. abbiano soltanto timbrato il cartellino.
Siamo tornati, ma forse siamo troppo stanchi.
1. "Let Them Fall" (3:52)
2. "The Bleeding Ground" (6:07)
3. "Vertigo" (2:37)
4. "Blessed Night" (3:59)
5. "The Waste Of Time" (5:39)
6. "Dependence" (7:36)
7. "Withdrawal" (3:25)
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