Quella chitarra impastata nella pece, la voce trascinata dall'inferno di Reagers: due fattori fondamentali del successo di critica e fans che i Saint Vitus ebbero dopo l'omonimo debutto. Poi, con l'abbandono di Scott Reagers, il destino della band sembrò oscurarsi improvvisamente. Venne sostituito da "Wino" Weinrich, che debuttò nell'album "Born too late" con ottimi pareri da parte degli esperti del settore. Non furono tantissimi i fans che rimpiansero il precedente vocalist: io però sono uno di quelli. Senza nulla togliere all'ottima capacità espressiva di Weinrich, la voce di Reagers, la sua attitudine dietro il microfono erano fondamentali nell'alchimia del quartetto statunitense.

"Mournful cries" è il quarto disco dei Saint Vitus, il secondo con "Wino" alla voce. Siamo lontani dall'oscura decadenza del primo album, così come non c'è la "pienezza" sonora e il marciume di lavori come "Hallow's victim" e "Born too late". "Mournful cries", rispetto ai tre che lo hanno preceduto suona più compatto, con la sei corde di Dave Chandler a scrivere riff dal sapore doom e dal retrogusto acido. Oltre questo ci sono ben poche variazioni. La proposta dei Saint Vitus rimane la stessa. Ripropongono quel genere di cui loro sono stati una della band più influenti: un doom metal lontano dalle tematiche esistanziali e filosofiche di altre realtà, ma decisamente più epico e putrefatto, con un'acidità di fondo che li rende inconfondibili. E' questo il credo musicale del quartetto a stelle e striscie, confermato già dall'iniziale "The creeps". Ritmo più lento nella trascinata "Dragon time", in pieno stile Saint Vitus: non c'è scampo tra i riff scultorei di Chandler e il lamento di Weinrich. Una gemma dal sapore forte che fa il paio con "Shooting gallery", altro manifesto di quest'album. Così dopo la tralasciabile "Looking glass" le finali "Bitter truth" e "The troll" chiariscono ulteriormente la classe dei Saint Vitus, band dalle sonorità fungoidi e rallentate.

Questo quarto album (del 1988) è la riprova dell'importanza che essi hanno avuto per tutti quei gruppi che agli inizi degli anni '90 hanno tentato di emulare le loro sonorità e il loro grezzume. E' innegabile che abbiano perduto con il passare del tempo parte della linfa che gli ha permesso di sfornare quattro grandi lavori negli anni '80, ma è altrettanto vero che quelli bastano a surclassare le discografie ben più corpose di band odierne, nate sulla scia di maestri come Chandler, Reagers e Weinrich. Questi sei disperanti gridi rappresentano il testamento che i Saint Vitus hanno consegnato al doom degli anni '80.

1. "The Creeps" (2:47)
2. "Dragon Time" (7:26)
3. "Shooting Gallery" (6:44)
4. "Looking Glass" (4:51)
5. "Bitter Truth" (4:14)
6. "The Troll" (6:56)

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