Non è il buio a farci paura, ci fa paura ciò che dorme dentro al buio, per questo cerchiamo la luce. Perché il buio è pieno, è gravido : contiene i fantasmi , gli orrori, gli incubi.
Il silenzio no.
Il silenzio è morte: il suono nasce con la vita stessa, il feto è costantemente cullato dal battito, potente, del cuore della Madre.
Il silenzio è vuoto e la natura aborre il vuoto.
Il silenzio come il nulla è inconoscibile, non esperibile: è solo un’ipotesi di lavoro.
Il suono è informe, quando assume una forma lo diciamo musica. Gli attributi di questa forma sono essenzialmente due: ritmo e armonia.
Il ritmo è la parte animale, inconscia, sensitiva; l’armonia è la razionalità. L’Occidente Razionalista e scientista ha sempre privilegiato l’Armonia rispetto al ritmo; il ritmo era componente primaria delle musiche altre: popolari, tribali, magiche, infantili, eccetera.
Ma il ‘900 è stato spettatore dello scontro sanguinoso tra humanitas e τέχνη (téchne).
L’Arte, territorio dell’Umano, ha dovuto combattere con la sue armi contro il razionalismo tecnocratico utilizzando i sottoprodotti della produzione seriale ed industriale (e le tecniche del mercato) come armi da scagliare contro l’inarrestabile processo disumanizzante della modernità. E la musica ha avuto la sua parte in questo scontro.
I termini “silenzio” e “rumore” non sono mai stati così centrali nel discorso musicale come nel secolo scorso. La logica perfetta dei rapporti armonici, la struttura architettonica dei costrutti polifonici, la lucida intelligibilità del discorso sotteso al dialogo tra gli strumenti si rivelano tragicamente inadeguati ad interpretare la magmaticità di un presente informe ed ottuso. I musicisti sono stati costretti ad operare per sottrazione, a teorizzare nuovi rapporti tra i suoni, a cercare nuove forme di scrittura, a tradire tutte le regole dell’armonia.
La tecnica non ragiona: produce. E’ l’uomo che si ostina a perdere tempo coi discorsi, che insiste a credere che possa esserci un senso.
La Bellezza è somma inutilità ed in quanto tale è destinata a soccombere dove l’unico valore è il risultato, dove l’assoluto morale è l’economia.
“Cantare con silenzio” raccoglie oltre all’omonima composizione per 6 voci, flauto, percussioni ed electronics, anche “Berceuse” – opera giovanile del compositore siciliano - e “Libro Notturno delle Voci” per flauto e orchestra. Tutte registrate dal vivo a Tokyo ed a Roma con la direzione di Marco Angius e con Mario Caroli al flauto.
Sciarrino è un perdente, la sua musica è il rantolo della Bellezza morente. Solo avvicinando l’orecchio e cercando di fare silenzio dentro e fuori di sé si può sperare di cogliere il senso di un discorso. Ma la Morte, come la Vita, non fa discorsi. Questa Musica, come tutta la Musica Contemporanea, non ci parla, per questo non la capiamo, per questo non l’ascoltiamo.
L’errore è quello di credere che il Presente richieda risposte complesse. Non è così: il nuovo Medioevo nel quale viviamo pone domande semplici e pretende risposte altrettanto semplici.
Per questo la musica pop è vincente. Amore, odio, tristezza, rabbia, rimpianto; sentimenti semplici espressi in modo diretto, possibilmente legati all’adolescenza (dato che all’adolescenza è permesso di dare valore ai sentimenti di cui da adulti ci vergogniamo, da qui anche il senso di perdita che il ricordo dell’adolescenza porta con sé). Linee melodiche essenziali, cantabilità, strutture reiterate, costruzioni stilistiche immediatamente riconoscibili, ritmo serrato, continuo (possibilmente 4/4 o variazioni di questo). Escursioni dinamiche precise, essenzialità, strumentazione il più possibile ridotta.
Che culli . che stordisca, che non faccia pensare, che calmi il dolore, che spenga l’angoscia.
La tecnica non ragiona: produce. Per questo non capiamo il mondo: perché non c’è niente da capire.
Per questo abbiamo così disperatamente bisogno di capire e vogliamo solo cose che capiamo. Vogliamo risposte semplici a domande dirette: come suona questo disco?
Ma la poesia pretende la partecipazione attiva dell’ascoltatore, è un dialogo, cambia in rapporto all’Altro che ascolta e che DEVE rispondere.
Questo dialogo è l’unica speranza di non soccombere a questo tempo muto.
Perciò non ti posso dire come suona, ti posso solo dire perché.
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