L'impressione, rinnovata anche dopo numerosi ascolti, è che ATGN suoni più come una raccolta di singoli che come un album vero e proprio. Il che in realtà non dovrebbe stupire, essendo la parabola del Rhythm & Blues segnata in misura maggiore dai 45 giri che dai 33. Tuttavia, il suo essere poco organico non è necessariamente un difetto: ogni brano si lascia contemplare come un'istantanea di vita, la breve descrizione di un preciso istante, l'immediata trasposizione in musica di avvenimenti da poco trascorsi, eseguita a caldo e con la massima naturalezza.

Raramente musica concepita per il grande pubblico riesce a farsi ricordare per così lungo tempo. A partire da quella "A Change is Gonna Come", a tutt'oggi il lascito più celebre e significativo del cantante, cementato anche da numerose cover che artisti Soul/RnB ne faranno già a partire dai mesi immediatamente successivi alla scomparsa di Cooke (memorabile quella di Baby Huey). Canzone che ha saputo descrivere come poche altre una situazione d'infinito disagio e desiderio di abbattimento di un ingiusto regime. Va da se' che Cooke si riferiva alle difficili condizioni di vita degli afroamericani negli U.S.A. degli anni '60, ma come accadde anni dopo con la musica di Bob Marley, l'universalità degli ideali di rivendicazione dei propri diritti finì per travalicare il contesto storico e geografico, rendendola un vero e proprio inno di resistenza ovunque vi siano uomini e donne in lotta contro l'ingiustizia sociale. Un'iniezione di ottimismo sofferto, quasi forzato, ma che lascia trasparire l'assoluta determinazione a non cedere alla reiterata prevaricazione della propria persona. Da pelle d'oca l'arrangiamento di archi e fiati, con la voce di Cooke che fa vibrare per l'intensità dell'interpretazione e l'assoluta maestria con cui passa dai registri acuti a quelli più gravi, su di una ritmica appena accennata da batteria e contrabbasso. La voce di Cooke è certamente il punto di forza anche di tutte le altre tracce, carica di una sensualità mai troppo esplicita, tenuta tra le righe con una classe invidiabile e un innato senso della melodia. Non a caso il soul singer del Mississipi sarà sempre citato da Marvin Gaye tra le sue principali influenze.

Il disco non inventa né stravolge nulla, ma la perfezione delle esecuzioni e la presenza sempre eccezionale del titolare fanno sì che al suo interno si possano ritrovare delle piccole perle. Come "Good Times", deliziosa commistione di vibrafono e chitarra acustica, o "Another Saturday Night", praticamente antitetiche al capolavoro poc'anzi descritto, due canzoncine da juke box verrebbe da dire. Eppure la spensieratezza e la voglia di lasciarsi alle spalle i cattivi pensieri che trasudano son quasi contagiose. Evidenti strizzate d'occhio a quel Rock n Roll tanto popolare in quei giorni (siamo nel 1964) e certamente gradito dal pubblico bianco. Si lasciano ascoltare con piacere anche il country, mai così urbano, della titletrack, le dinoccolate e ballabili "Meet me at Mary's Place" e "Rome (Wasn't Built in a Day) e una "Tennessee Waltz" molto poco valzer e molto RnB. Il resto è composto per lo più da riempitivi, di gran classe forse, ma pur sempre una manciata di ballatone melense senza particolari picchi emotivi.

Un disco che mostra certamente tutti i suoi limiti e i suoi anni, ma estremamente piacevole all'ascolto e a tratti toccante nella sua ingenuità quasi adolescenziale

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