Malcolm e Marie è il film del momento, senza dubbio. Personalmente, sono tra quelli che hanno apprezzato questo lavoro, e che lo hanno trovato un film bello, interessante e da ricordare per diversi motivi.
Non è il primo film, ovviamente, a mostrare dinamiche di questo tipo, problematiche relative al rapporto a due, con dialoghi serrati, impostazione teatrale talvolta, conflittualità, criticità sommerse, amore e odio, dipendenza reciproca e rapporti psicologici complessi. Marriage Story il caso più recente e dibattuto, film che a sua volta omaggiava Bergman, ma che riprendeva anche opere come Revolutionary Road o Blue Valentine. Un altro caso è il capolavoro Palma D'oro Il regno d'inverno di Nuri Bilge Ceylan, che comunque non si limitava al solo microcosmo della coppia ma mostrava un mondo molto più ampio di riflessioni e tematiche. E molti altri.
Quel che rende Malcolm e Marie particolarmente interessante, però, è la sua doppia natura: da una parte, scavo psicologico nel rapporto, dall'altra, e forse addirittura di più, vero saggio sul cinema. Molti sono difatti gli omaggi e le citazioni, semplicemente nominali (da Welles a Wyler a Pontecorvo, e svariati altri), oppure più sostanziali (al cinema indie americano, da papà Cassavetes in giù), da cui probabilmente deriva anche la stessa scelta estetica del bianco e nero. E soprattutto, molte sono le riflessioni teoriche sulla natura del cinema, sul senso del cinema. Sul rapporto tra cinema e realtà.
Il cinema che non deve necessariamente essere "messaggio" o sottintendere realismo, critica/denuncia sociale, bensì comunicare qualcosa di profondo, arrivando anche al senso più autentico delle cose, attraverso l'esperienza drammatica, la trasfigurazione di un'idea, la rappresentazione estetica ed emotiva che sappia toccare corde personali. Idea di cinema che ho, personalmente, sempre condiviso e fatto mia. Ed infine un elogio del mistero del cinema, in contrasto invece con il carattere di Malcolm, che non dà valore al mistero nel rapporto di coppia perché estremamente preso dal proprio ego.
Ricorrente, all'interno del film, è appunto la questione dell'egocentrismo. L'egocentrismo che è proprio di ogni regista, il cinema per un regista viene prima di tutto, ed ogni persona o elemento della propria vita viene reso uno strumento per la realizzazione della propria arte. Senza dubbio, è chiara anche una certa identificazione tra Levinson (regista emergente e famoso soprattutto per Euphoria) e Malcolm, suo alter-ego ideale.
Ma a parte tutto, ogni varia situazione tra i due protagonisti (attori, Zendaya e Washington Jr., entrambi su alti livelli) è resa benissimo, e spesso si toccano momenti importanti e significativi. Per quanto, è innegabile, il film sia volutamente molto sopra le righe e spesso urlato, mostrando così però una fortissima passione ed urgenza comunicativa.
Penso che sia un film che sarebbe anche giusto vedere un paio di volte. Non perché sia un film di difficile comprensione, ma perché, quando un film è basato, di fatto unicamente, sul dialogo, è giusto vederlo più volte per memorizzare e cogliere al meglio ogni sfumatura. Ed ogni sfumatura in un film come questo è importante.
Un film di monologhi e piani sequenza, molto ambizioso, da apparire presuntuoso (non per me, specifico), ma di vero e viscerale amore per il cinema, anche nella consapevolezza che un po' tutti, tra registi, attori e in generale nel mondo della settima arte, siano un po' puttane.
Gervais d'altronde già lo aveva detto chiaramente.
Carico i commenti... con calma