Quando moriremo, non ci libreremo in aria, nessuna luce ci porterà in cielo; semplicemente andremo in pezzi, ci inabisseremo e non torneremo mai più.

Nel passaggio, nella trasformazione, noi non ricorderemo nulla di questa cosa chiamata vita; semplicemente, a poco a poco, saremo invece dimenticati.

Quando moriremo, i Popol Vuh non intoneranno per noi nessun mantra celestiale; ci sarà piuttosto il flusso e il riflusso di un’ambient serena ed avvolgente, densa marea notturna che consolerà i nostri silenzi.

Non rivedremo i nostri cari, non toccheremo le nuvole con le dita; semplicemente i droni estenuanti di Rosenthal culleranno il nostro riposo.

Quando moriremo, non cammineremo a piedi scalzi nei prati di un lussureggiante Eden; saremo invece seduti, immobili ad osservare per l’eternità un gigantesco monolite nero di suoni sfocati che inghiottirà la nostra memoria.

E alla fine dei tempi, dietro noi un violino elettrico modulerà fasci di una purissima luce bianca; folate cristalline che proietteranno sul monolite le immagini della nostra vita terrena. Solo allora vedremo, tutte le parole che potevamo dire e che non abbiamo detto; tutte le cose che potevamo fare e che non abbiamo fatto; tutte le persone che potevamo essere e che non siamo stati.

Carico i commenti...  con calma