La musica oggi sembra spesso una continua ricerca di suoni alternativi, di presunte innovazioni, ma senza avere la materia prima, ovvero le buone canzoni. Sam Smith è un giovane che ha studiato le radici della musica, ha studiato il jazz ed il soul, esordendo nel 2014 con un buon album, In the lonely hour, dove dava una forma elegante, ma pop, alle sue basi musicali. Dopo quel successo, confuso dalle luci della ribalta, decide di non insistere nella ricerca del facile seguito all'opera prima, e si ritira per tre anni, alla ricerca dell'ispirazione. Nel 2017 ritorna con questo lavoro, dove la differenza la fanno la sua sbalorditiva vocalità e le canzoni, scritte bene e suonate altrettanto, senza fronzoli, senza effetti digitali, ma come si faceva una volta, con pochi ma buoni strumenti, compresi i "cori" come oggi non se ne sentono quasi più.

To good at goodbyes, apre le danze tra pianoforte e schiocchi di dita molto RnB che portano al ritornello "gospel": questa è una costante di molte canzoni di questo lavoro, RnB nelle strofe e gospel nei ritornelli, una miscela da fuoriclasse, con la voce di un bianco che canta però come un nero (non è il primo caso nellastoria della musica).

One Last song, è un brano "ballabile", tanto leggero, quanto perfetto nella sua semplicità, riporta alla musica anni 60, al doo-wop dei The Drifters.

Midnigth Train è stata subito accusata di plagio, metrica e giro armonico identici a Creep del Radiohead, ma Creep era sua volta una riedizione di The Air That I Breathe, canzone del 1974 scritta da Albert Hammond, portata al successo dai The Hollies: Smith si ispira a mio parere più a questa composizione, dando comunque al pezzo il "suo" marchio sempre fortemente RnB.

Burning, è a mio parere una delle canzoni più belle del disco: un pezzo pianistico ma con un finale"gospel" molto bello.

Palace, altro capolavoro, la mia preferita: porta tra le note il "sapore" di Halleluja di Cohen e nell'interpretazione ho risentito alcuni echi della voce splendida di Jeff Buckley; anche qui, come nella Halleluja di Buckley, in sottofondo una chitarra ritmica sussurrata.

Pray è un potente e corale gospel, con uno Smith che, nel finale da' un tono aggressivo al suo falsetto, lasciando intravedere la possibilità, per il futuro, di fare un uso multiforme della sua voce.

La versione Deluxe, aggiunge, quattro canzoni, che sono allo stesso livello delle altre, avrebbero potuto fare parte di una versione unica del disco; tra queste adirittura la title track, The thrill of it all, altro pezzo bellissimo, di ampio respiro, dove troviamo anche una bellissima sezione "orchestrale" con archi e violini: forse proprio per questa maggiore ricchezza dell'arrangiamento, la title track è stata esclusa dalla versione standard del disco, dove dominano semplicità ed essenzialità.

A mio parere questo disco è uno dei più belli del 2017, ci consegna un artista che ha tutti i numeri per riscrivere in chiave moderna la grande musica RnB e Soul.

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