Con questo album, i Samael fecero sapere al mondo che esistevano e con doti che univano gran classe ad una musica efferata e micidiale, si consacrarono a realtà viva e pulsante per una scena Black Metal svizzera che probabilmente non è mai esistita, ma che, sui generis, ha sempre dato alle stampe ottimi lavori di ottime e seminali band, Celtic Frost e Coroner su tutti.

Di fianco a questi, s'inserirono proprio i Samael, destinati a ricavarsi una nicchia significativa nell'underground estremo, e pure influente per band che vennero dopo e che cercarono di ispirarsi ai loro clichè. Di certo non fu compito facile, visto che i nostri, oltre ad essere forti di una spregiudicatezza fuori dal comune, sapevano (e sanno unire) la ferale e magniloquente brutalità scarna del Black Metal di matrice europea con un gusto spiccato per il sinfonico e per il corale, che li pone in una posizione scomoda e alquanto ambigua: i suoni di questo disco, infatti, non eccedono mai nelle accelerate furiose e negli scream assassini, marchio di fabbrica del genere, ma piuttosto insistono su una certa qual serpeggiante malavagità di fondo, su una perfidia misantropica e blasfema che la si percepisce benissimo in ogni solco ed in ogni nota, pur non strafacendo mai, e pur non perdendosi nelle sperimentazioni "tout-court" che ne hanno contraddistinto i futuri lavori (Passage su tutti).

E allora, si potrà parlare certamente di Black metal per "Ceremony of Opposites", un album cerimoniale e dalle mille sfaccettature, che pesca dove il fondo degli abissi è sempre più torbido, riuscendo egregiamente nel compito che si prefigge, quello ossia, di far combaciare il "mood" devastante e nichilistico del Black, con sprazzi di Industrial composito e molto tecnico.

Esempi lampanti ne sono la prima "Black Trip" e la quarta "'Till We Meet Again", questa vero manifesto per tutto il cd, con i suoi effetti campionati e il suo eclettico e cadenzato "passo" che, tra campane, diapason e batteria quasi tribale, possono richiamare alla mente certe atmosfere malate e sulfuree tipiche dei romanzi di H.P. Lovecraft, molto affascinanti ed introspettive.
Oltretutto, per comporre un lavoro così occorre una massiccia dose di intelligenza, cosa che ai Samael non manca, collocandosi come band "colta" che sa bene rivangare in ogni aspetto delle cose negative e malsane che circondano l'uomo. Da citare è certamente poi, "Mask of Red Death", ispirata dal famoso racconto di E.A. Poe e che ne mette in risalto aspetti che mai si potrebbero pensare.

Insomma, questo è un bellissimo album, un classico per un gruppo che pur facendo parte di una certa scena, pur avendone in sé tutti i germi anche a livello di songwriting ("Baphomet's Throne", "Flagellation", "Ceremony of Opposites"), ha saputo poi osare tanto nel futuro (parlando del presente odierno, naturalmente), ma che qui è assolutamente alle prese con un lavoro ben fatto, studiato nei minimi dettagli e egregiamente arrangiato ed eseguito (ed anche questa è una nota che contraddistingue da sempre i Samael), con brani tutti bellissimi, anche se ad un primo ascolto potrebbero sembrare "gelidi" e spiazzanti; forse però è proprio questo il bello: quello di voler sembrare stranianti e glaciali, ma riuscendo ad emanare lo stesso un'aura di cosmicità e di "umore nero" come la pece pervadendo ogni angolo di un mondo amorfo e grottesco sconosciuto ai più.

Consigliato a chi non li conosce, ed anche a qualche Blackster in cerca di qualcosa di "diverso" dal "True Norwegian".

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