Quando si parla dei Samael è matematicamente inevitabile fare riferimento alla loro lenta ma inesorabile evoluzione che li ha caratterizzati a partire dai primi anni '90 fino ad oggi. Se con gli iniziali tre album, quali "Worship Him", "Blood Ritual" e "Ceremony of Opposites", si sono dedicati solo al black metal più raschiante, lento, serpeggiante ed abissale, sfiorando sprazzi di industrial con l'ultimo della trilogia, con il quarto "Passage" la band svizzera è decollata verso un sound ancora più atipico, agghiacciante e siderale, per poi approdare su lidi completamente differenti da dov'erano partiti tempo prima.

Mi riferisco a "Eternal", che mostra nuovi orizzonti musicali incentrati sull'elettronica/industrial, al vibrante "Reign of Light", che sviluppa spropositatamente le nuove attitudini e il nuovo genere dei Samael, e soprattutto all'ultimo "Solar Soul", il quale non fa altro che soffermarsi a lavorare ed affinare ciò che il gruppo ha ottenuto in quasi vent'anni di carriera: uno straordinario passaggio dalla più nera perfidia alla più positiva e, per l'appunto, solare spiritualità.

È normale che, dopo ardite e pericolose trasformazioni, ci si voglia fermare un attimo per rivalutare tutti i progressi svolti: questo è il compito di "Solar Soul" che è, per così dire, un'arma a doppio taglio. Se da una parte concede al gruppo di tirare un sospiro di sollievo dopo il l'impegno e la grinta impiegati per diventare quello che sono ora, dall'altra è anche l'occasione per dare una rispolverata al loro genere.

Nulla di innovativo rispetto al precedente "Reign of Light", dunque. Lo si può notare ascoltando brani come "Solar Soul", "Promised Land" e "Slavocracy": perlopiù mid-tempos infarciti di tastiere e di riffs semplici, agili ed estremamente orecchiabili; i ritornelli sono una vigorosa esplosione d'ottimismo e si fanno godere nonostante vi sia ancora la presenza della voce roca di Vorph -che ora non usa più i suoi screams abissali di un tempo. Gli stacchi di tastiera, come ad esempio quello di "Promised Land", non sono nulla di complicato o pretenzioso: sono magici nella loro celestiale semplicità.

Altri piccoli e curiosi esperimenti sono "Ave!", con quel suo andamento marziale e potente, oppure la cavalcata elettronica di "Valkyries' New Ride" dove rasoiate di chitarre si fondono armoniosamente con un magma etereo di elettronica spedita. Con "On the Rise" si ritorna per alcuni attimi ai tempi lunari di "Passage" mentre con la ballabile "Quasar Waves" viene reintrodotto il mitico sitar che già era stato ampiamente usato in "Reign of Light". Un po' meno riuscita è purtroppo "Suspended Time", dove l'impiego di una voce femminile nel ritornello risulta un tantino fuori luogo.

Il resto dei brani si svolgono sulla falsa riga di quelli già descritti: ognuno possiede un mood, un ritornello e un impiego degli strumenti differenti (e meno male!), senza comunque volersi minimamente distaccare dall'omogeneità globale che è un pregio/difetto dell'album. Un complimento va anche ai testi, i quali sono, come già detto, pregni di ottimismo e di voglia di vivere con tanta saggezza e con una forte attitudine alla spiritualità. E allora, un altro caloroso benvenuto ai nuovi Samael.

Per concludere, cito una frase da una canzone dei primi album e poi una frase da questo "Solar Soul": "Love is a poison which flourishes in the heart of the weak" (l'amore è un veleno che prospera nel cuore del debole) Converting doubt and hate, into love and faith" (convertendo dubbio ed odio, in amore e fede)".

Se questo non è evolversi...

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