- Well, shall we go?
- Yes, let's go.
[They do not move]
Ho pochi classici di cui vanto la lettura personale. Questo perché, complice la scuola, ti proiettano in testa modelli comportamentali nei confronti delle opere tanto stupidi quanto paradossali.
"Bella la Divina Commedia, opera fondamentale, però è stata scritta mille anni fa!" ho udito spesso dai miei compagni: come dire che ai bambini non dovrebbero esser più lette favole de Le Mille E Una Notte perché pregne di fondamentalismo islamico. Se in Italia spesso e volentieri si parla di mancanza di rispetto verso la libertà di opinione, volentieri ne farei a meno di tale privilegio per non sentire più abusi simili.
Da qui il mio problema: mi vanto di aver letto pochi classici, quelli che non lasciano spazio a povere bocche inconsapevoli di sputare sprecando aria mista a parole casuali. Quelle opere che non lasciano soddisfazioni, che quando prendi per mano non si comprende il senso e finendolo, con incredibile genialità, si torna punto e a capo ma con qualche perplessità sulle proprie capacità di sintesi.
Waiting For Godot è una risposta delle opere alla società: "Bella la razza umana, ma è stata fatta miliardi di anni fa!". Accorgersi come tutto, specialmente dopo la Seconda Guerra Mondiale, stia diventando privo di senso, obsoleto, pacchiano, "superato" non è cosa facile. Non lo è per Didi e Gogo che, discutendo sui poteri afrodisiaci dell'impiccagione, non hanno coscienza del background che li circonda: un deserto, una strada non praticata, un albero prossimo alla morte, loro stessi.
Waiting For Godot è tutto e il contrario di se stesso.
I personaggi nella loro incoerenza si dimostrano eroi atipici di quel contesto paradossale, della morte dell'umanità, la fine di un dinamismo che ci portò a dare nomi alle stelle, ad accecare con l'astuzia enormi ciclopi. Un'ombra fintamente opaca che si proietta su quella strada e su quell'albero ora macabre decorazioni dell'ultima, grande opera dell'uomo: la distruzione di tutto il suo creato.
Mi piace accostare la figura di Beckett a Thomas Stearns Eliot e James Joyce, che han dato vita a quello che vien definito oggi modernismo. Ma il primo è diverso, non decanta la crudeltà romantica di un Aprile come gli altri e nemmeno le mestruazioni mentali di una donna come Molly. E' un altro Verga di un altro fine secolo, dove il realismo si fonde con i suoi opposti metafisici, dove il processo hegeliano di tesi-antitesi-sintesi è camuffato alla perfezione sotto i panni di quel Godot che, da qualunque parte del globo stia arrivando, farà aspettare per l'eternità la sua venuta.
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