Se fosse un film, sarebbe più o meno questa locandina: “Il passato che si scontra -non amichevolmente, sia chiaro- col presente. Non perdetevelo”.

Alberto Mariotti alias Samuel Katarro, pistoiese, ventitreenne, cresce a pane e new wave. Suona in alcuni gruppi dell’underground toscano poi, non si sa perché, si rompe il cazzo e abbandona questa strada. E’ un agitato fuori dal branco: decide di imbracciare la chitarra acustica, di buttare fuori in qualche modo il blues che ha nelle vene, senza però rinnegare il passato.

Guai però a dirgli che suona “blues”: il giovane Samuel non accetta queste classificazioni. Per lui la musica è solo un tramite per cantare del suo disagio. E alla fine, se ci pensate bene, ha tutte le ragioni di questo mondo: punk, blues e rock, alla fine, servono alla stessa cosa.

La sua musica è infatti una musica di nervi. Una voce ed una chitarra sgangherate quanto quelle di Robert Johnson, senza voler bestemmiare, sono i suoi tratti distintivi. Un blues volutamente sguaiato, strampalato e dislessico.

La proposta è però qualitativamente opposta al suo cognome d’arte. Questo giovane ragazzo italiano, saltato fuori dal nulla, ha il coraggio di prendere il blues del Mississippi di ottant’anni fa e di portarlo a pedate in culo nel presente. Sul percorso tracciato dalla sua chitarra acustica in questo “Beach Party” aleggia infatti una schizofrenica atmosfera disegnata da pianoforti tremendamente scordati, synths indisciplinati e violini schizofrenici, degna della new wave più isterica tanto amata da Samuel. Il canto di dolore di un negro americano si fonde con la new wave bianca: è questo l’incredibile paradosso che è riuscito a mettere in musica questo Samuel Katarro.

Non aspettatevi però la festa in spiaggia del titolo; questo giovane-prodigio canta, con un piglio molto naif e, a tratti, grottesco, di storie tremende, degne del Tim Burton più oscuro. Si passa dal malato sul punto di morte che implora che qualcuno si occupi della sua tartaruga (“Terminally Illness Blues”), o a quella del Cristo moderno che trascina, assieme alla croce ("Com-passion"), i suoi dischi punk e di Nick Cave, o, ancora, alla rock band che spara alla luna sanguinante (“The Moonlight Murders Psychedelic Band”) per arrivare al furbo che insonorizza un cesso pubblico e lo fa diventare un bordello (“There’s a Lady Inside the Cabin”).

Insomma, se quel tizio abbronzato col pizzetto nero è apparso a questo Samuel Katarro, doveva essere ancora proprio in forma, senza nessuna barba bianca e panzella d’ordinanza.

 

 

 

 

 

PS: Gli ex-compagni di gruppo di Samuel Katarro l’hanno mollato per mettere in piedi una cover band dei Dream Theater. Morale dalla favola: a volte pure loro servono a qualcosa.

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