Ricordate la sigla del primissimo Tg2...? Io no di certo, visto che non c'ero, ma qualcuno degli utenti lettori avrà senz'altro avuto la fortuna di ascoltare in presa diretta quello che, senza mezzi termini, rientra nella categoria dei "grandi esperimenti sonori" realizzati nel nostro Paese: non è il sottoscritto che esagera, se è vero che nell'articolo che il Corriere della Sera dedicò al neonato Tg del secondo canale si faceva esplicita menzione di quella sigla, luminoso collage di avanguardistica (e in parte artigianale) elettronica, menzionandone al tempo stesso l'autore: tale Sandro Brugnolini. Un rapido cenno di fondo pagina, nulla di più, ma quanto bastava per rendersi conto che l'artefice di quell'esperimento era qualcosa di più di un semplice autore di colonne sonore per la Tv. Tutte le sigle dei futuri notiziari italiani devono qualcosa a quel pionieristico tentativo di dar forma a un frammento musicale di sconvolgente modernità (sconvolgente ancora oggi, tenuto conto dell'epoca e della melodica, routinaria banalità di altre coeve colonne sonore televisive).

Chi è Sandro Brugnolini? I più lo ricordano proprio nelle vesti di collaboratore della Rai fra '60 e '70, come autore e consulente musicale (si, era l'epoca in cui anche esperti musicologi potevano lavorare dietro le quinte, e offrire il proprio contributo alla definizione di un prodotto, quello televisivo, ancora concepito come esito di un lavoro di impegno e qualità). Ma questo oscuro musicista di formazione jazzistica (di cui si conoscono rare e sparute informazioni) lavorava anche "in proprio", se così si può dire, spaziando fra più generi e mettendosi in luce da autentico "cosmopolita" della nuova musica italiana, arrivando persino ad incidere ricercatissimi gioielli discografici del calibro di questo "Overground": l'anno è il 1970; per la precisione, questo capolavoro è il risultato di due sole session del 12 e del 13 marzo, condotte fra spontanea creatività e sensazionale gusto per l'arrangiamento, non semplice dettaglio ma elemento costitutivo di composizioni che proprio dalle originalissime scelte strumentali adottate traggono grossa parte del proprio valore. E' un album che in molti hanno definito "post-psichedelico", etichetta fin troppo generica e comunque in parte inadeguata, visto che ciò che si ascolta è un primo, geniale abbozzo di quel Jazz-Rock che, di lì a pochi anni, avrebbe fatto proseliti fra le menti più "progressive" di casa nostra. Io ricorrerei senza esitazione alla categoria di "avanguardia", perché "Overground" - lontano anni luce dalle coeve ingenuità tardo-Beat di futuri gruppi progressivi - è soprattutto album capace di offrire impensabili e, nondimeno, sconfinate suggestioni agli amanti di Fusion ante-litteram come il sottoscritto: il ruolo della chitarra e la complessità delle trame (non di rado, rese intricate da intelligenti e mirate sovraincisioni) lasciano ben poche incertezze circa il valore artistico dell'opera e l'opportunità di rivalutarne la portata storica.

"Overground" è un ideale spaccato d'epoca che in poco più di mezz'ora sa condensare i fermenti di un'Italia musicale che ha fretta di evolvere, di lasciarsi alle spalle l'immaturità "adolescenziale" dei Sessanta per incontrare il nuovo Jazz di ascendenza davisiana come anche le pulsioni, l'emotività di un Hendrix qui più che mai vicino. Registrato agli studi romani della Dirmaphon, l'album (stampato in edizione limitata in sole 500 copie) vede la presenza di musicisti di indubbia qualità, destinati a futura notorietà nel panorama alternativo e non solo: al basso c'è il futuro Perigeo (e session-man fra i migliori nel nostro Paese) Giovanni Tommaso, all'organo e al piano Giorgio Carnini, alla (graffiante) chitarra solista Silvano Chimenti, poi alla corte di Morricone per "Il Mio Nome E' Nessuno" e "Quattro Mosche Di Velluto Grigio". Il batterista Enzo Restuccia e un secondo chitarrista, Angelo Baroncini, contribuiscono alla perfetta riuscita di otto composizioni eccelse, perfettamente calibrate e riuscite: composizioni tutte a firma Brugnolini, che peraltro nell'album non suona, salvo far sentire la sua presenza nell'organicità d'insieme di un'opera fresca, originale nonostante le doverose, e colte, citazioni (ascoltare la ripresa dei passaggi tonali della hendrixiana "Fire" nell'apertura di "Cellulin"). Semplicemente magnifiche le atmosfere, molto morriconiane e anticipatrici di certi momenti acustici del Perigeo, di "Adire's Dream" e di "Brain", tra rilassata sospensione e angosciante, claustrofobica inquietudine. Quasi Bossa Nova l'incedere di "Cirotil" (alcuni titoli paiono vagamente nomi di medicinali), lontano dal Rhythm & Blues più che mai acido di "Simanite" e dal sincopato riverbero di "Amofen". "Alipid" preannuncia, seppur in altro contesto sonoro, la Fusion del Perigeo di "Genealogia", semiacustica ed eccellente nei suoi sviluppi armonici la delicata "Roxy".

Sono cinque stelle storiche, per uno degli album più rari mai incisi in Italia ma assolutamente da riscoprire. Non mi dilungo troppo questa volta, l'emozione è tutta nell'ascolto...

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