Melissa Agate, ragazza australiana dal passato da batterista avant, inventa 11 buone canzoni nel 2005 e tira fuori dal cilindro un album difficile, ma interessante.
Non vorrei perdermi o farvi perdere tempo nella lettura di questa recensione, quindi vale la pena inquadrare subito il prodotto in oggetto: una trentina di minuti di loops, rumori elettroacustici, suoni distrutti e ricostruiti con qualche pezzo mancante e fastidiosi inserti ambientali con perle digitali.
Se ritenete opportuno avventurare le vostre orecchie in questo mondo, non ne resterete delusi. Certo non si tratta di un disco qualsiasi, da mettere come sottofondo della nostra passeggiata o da udire nel lettore cd dell'auto, è un disco di cui bisogna necessariamente averne voglia ed essere preparati mentalmente all'ascolto.
"The Last Leaf" rappresenta il paradigma del disco, se volete ascoltare e basarvi su questi quattro minuti potrete capire sin da subito se il resto potrebbe fare al caso vostro. Ritengo che questo incipit abbia soluzioni interessanti, piccoli affreschi acustici in un susseguirsi di suoni aggiunti e tolti, suoni presi dal mondo dell'elettronica e non solo che si giustappongono senza costrutto ( o forse si?)..la Type records si carica sulla schiena queste note e decide di pubblicarle nel 2005. Coraggio ma anche lungimiranza, attenzione al talento, ma anche scommessa.
Quando sento questo cd mi fermo a riflettere sulla creazione della musica nel suo essere. Spesso mi chiedo cosa spinge l'artista in queste cascate sonore a mettere un punto ? Ho molti dischi sperimentali nella collezione, ognuno uguale o diverso e con diversi spunti, ma la domanda che mi pongo è proprio sulla creazione in quanto tale... Melissa Agate la immagino seduta dietro una serie di fili, tastiere, strumentazioni bizzarre e alla ricerca di ispirazione, con la fame di assemblare, con la mente rivolta non al fruitore ma al suo io.
A volte credo che alcune tracce siano uno sfogo compositivo troppo personale, troppo ermetico e disturbante per apprezzarle come musica in quanto tale, eppure affascinanti nella ricerca e perché con questa ragazza, lontana anni luce da casa mia, ho trovato una identificazione dei miei momenti scontrosi.
In sintesi: forse Melissa Agate si incazza come il sottoscritto ?
Non urla e non prende a pugni nessuno, ma cerca di sfogarsi con espressioni del tutto personali. Anche io non mi infurio o maledico il cielo, ma invado me stesso di una certa anima scorbutica, pungente che ritrovo in queste note, prendete "Spark" o "Minus Ecki" ad esempio.
"And Then Return To Zero" rappresenta uno dei miei momenti preferiti, dove arrivano e incespicano xilofoni, loops e strumenti di ogni genere in un caleidoscopio caotico e senza apparente costrutto, eppure affascinante. "Like White Fire" chiude in modo abbastanza sorprendente il disco, con una luce melodica, una vaga speranza di serenità interiore ed artistica.
Si respirava, prima di questa ultima traccia, una leggera brezza jazz esoterica, una commistione atipica che lascia spazio a una dicotomia nella definizione "rumorismo ambient"..lo so forse vi confondo le idee, forse non ha nemmeno senso cercare una definizione di questi suoni ma con animo tranquillo, di non dover a tutti i costi pescare un capolavoro per la vostra collezione, mantenete questo disco come la carta da tirar fuori al momento giusto per voi stessi e per i vostri momenti disturbati.
Un mal di testa leggero inizia a battere nella fronte, ma non mi preoccupo significa che questo disco ha raggiunto il suo scopo, forse lo ascolterò di nuovo tra qualche mese o anno, quando il mio nervosismo incanalato nei rumori si scioglierà ancora come neve al sole..
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