1970. Mentre in Inghilterra furoreggiano prog e psichedelia, evocatori di atmosfere siderali, il folletto messicano di nome Santana ha una intuizione a dir poco felicissima. Coniuga un blues-rock bollente, quello fumoso degli anni Sessanta, con una sensibilità del tutto latina e caliente, ma strizzando anche l'occhio anche alla nascente jazz fusion: quello che ne risulta è un capolavoro caleidoscopico, che dopo 37 sembra ancora fresco ed evocativo.

Ma sì, altro che astrattezze melodiche, altro che intellettualismi e minchiate varie, Santana è un mito per il suo potere immaginifico. Li puoi vedere benissimo su un palco scarno, nell'afosità di un'estate centro-americana, in un atmosfera tanto appiccicosa quanto torbida; granitici, in canottiera, senza alcuna leccatura. L'esotismo di Carlos tuttavia non è troppo esasperato: sa bene che tutto ruota intorno agli Stati Uniti, e quindi non esagera nella goliardia latineggiante, dosandola invece con quello che piace agli americani del periodo, reduci dall'orgia di Woodstock e amanti del rock più schietto. "Abraxas" è una sequenza di pezzi indimenticabili, di quelli che non sono nè di nicchia nè commerciali, nè sopravvalutati nè sottovalutati, besì dei "pezzoni": quelli che piacciono visceralmente anche al critico più politically correct e snob nel senso albionico del termine.

Impossibile resistere al jazz conturbante di Incident at Neshasbur, come pure alla cover sensuale di Black Magic Woman dei Fletwood Mac, uno di quei brani che evocano l'atmosfera pruriginosa delle estasi sul lungomare. In un ideale campionato di "pomicio-music" , ma io preciserei "pincio-music", lo strumentale Samba pa ti sarebbe imbattibile: me lo vedo, il buon Carletto, che sorride compiaciuto sotto i suoi baffetti, ammicando al concupente libidinoso. Ma "Abraxas" non è solo questo, è soprattutto un sound graffiante e spontaneo, come nelle due canzoni hard-rock del disco, "Hope you.." e "Mother's daughters": due brani che pur nel loro essere abbastanza duri - preciso di non amare il rock "forte" - hanno quella atmosfera da West Coast californiana che tanti gruppetti di oggi cercano di imitare invano.

Ci sarebbe tanto da dire, ma mi sembra chiaro che la formazione di Santana è stata una boccata d'aria fresca nei primi anni Settanta, anticipando persino alcuni stilemi della world-music (tanto inflazionata adesso: i negozi di dischi sono pieni di quelle compilation lounge-ambient-ethno- e che cazz) . Un disco di grandissimo spessore, fitto di trame chitarristiche e organistiche: sì , proprio quel'Organo Hammond che ricorda i bei tempi passati.

Quello che mi dispiace è che Santana, dopo un esordio al fulmicotone e una carriera prestigiosa, sia diventato negli ultimi anni la "prostituta del reggimento" che si vende ai vari cantanti trendy del momento, passando persino per il redivivo Steven Tyler. Banalizzando il suo stile inimitabile, molti giovani scoprono un Santana banale e schematico, ben lontano dall'esoterismo settantiano, di grandissima caratura artistica.

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