Y Volverè, dei cileni Los Angeles Negros. Anno 1969.

Uhm. Quegli accordi hanno qualcosa di familiare, fin troppo familiare...

E in tanti si sono fatti una propria idea, ascoltando poi Europa. Anno 1976.

Non io, per esempio. Che degli Angeli Neri ignoravo ancora l'esistenza, e sulle note di Europa richiamai invece - prendo un lungo respiro... - nientemeno che Abrazame, un pezzo portato al successo da Julio Iglesias nel '75. O meglio, il refrain di quella canzone. Certo, la somiglianza con Y Volverè... quella, resta impressionante. Ma anche qui, quella combinazione d'accordi fin troppo familiare.

Ah: non vi chiedo di provare a cantare il refrain di Abrazame sulla tonalità di Europa. Sarebbe chiedervi davvero troppo, me ne rendo conto. Vi capisco.

Voi però, in cambio...evitate di chiedermi come faccio a conoscere Abrazame di Julio Iglesias. Lasciamo stare, evitiamo di entrare in certi scabrosi dettagli. Grazie.

E poi ci sarebbe anche Autumn Leaves, certo. Lo standard suonato da Miles e da qualcun altro, ci sarebbe anche quello - volessimo proprio insistere su quella combinazione fin troppo familiare. Ma insomma, il tutto è per dire: trattasi di un canovaccio largamente collaudato e sfruttato, trattasi di uno stilema fin troppo familiare (pare che al momento sia a corto di termini, abbiate pazienza) alla musica latina e non. Probabile che quel canovaccio ce l'avesse in mente anche Carlos, quando cominciò ad abbozzare il primo embrione di Europa. Accorgendosi che, a partire da una semplice combinazione, si poteva ricavare molto di più.

"(S)ragionamenti" che mai avrei immaginato di poter fare, quando mi passò di fianco (è proprio il caso di dirlo) l'LP di Amigos. Che disco. E non lo dico in senso buono. Continuò a girare per quasi tutta la durata, e in realtà - sì, a parte qualche momento qua e là, ma insomma... - stavo ancora aspettando la scossa che mi destasse da un crescente torpore.

Arrivò, a un certo punto. Aveva la Voce di una chitarra che prese la parola e cominciò a cantare, quasi avesse aspettato quel momento di silenzio per farlo. Cominciò a cantare, e non ci fu spazio per nessun'altra voce.

I 5 minuti che seguono furono anche gli ultimi, 1) perché dopo qualcosa del genere potevo anche evitare di finire il disco - tanto più che a seguire veniva una cosetta inutile come Let It Shine e...sì, figuriamoci; 2) perché quando finiscono certi pezzi c'è come un'inconscia urgenza di silenzio, quasi la voglia che quelle note si prolunghino in un'eco infinita.

Da quel momento Europa (che non deve far pensare a Strasburgo, a Hollande o alla Merkel, ma alla mitologia greca) rimase un segno indimenticabile. E a dirla tutta, mentre scrivo queste righe non sto nemmeno pensando alla versione di Amigos, quella che mi risvegliò dall'indifferenza come uno spettatore mezzo assopito a teatro. Sto pensando alla versione di Moonflower, l'ultimo bel disco di Santana. L'ultimo lampo di vera classe, l'ultimo sussulto che già dietro un'apparecchiatura quasi perfetta nasconde le prime crepe, i segnali di un declino artistico inesorabile.

Ma quando (sull'assolo) la chitarra inizia a cavalcare a briglie sciolte - e non è questione di puro virtuosismo, no - il rapimento è totale, e quasi mi scordo che Santana non è mai stato e mai sarà il mio artista preferito, che il suo periodo d'oro era passato e neanche da poco, che in fondo senza The Supernatural di Peter Green oggi nemmeno staremmo qua a parlare di Santana, e anziché Leggenda a ricordare i tempi di Woodstock lo troveremmo magari dentro un villaggio turistico ad Acapulco, a suonare in un'orchestrina mariachi dopo il numero di un animatore.

Mentre da un albergo poco lontano arrivano le note di Abrazame di Julio Iglesias.

Carico i commenti...  con calma