Musica etnica arcaica, aliena nel cerimoniarsi, ma così "fresca" nella precipitazione millenaria che ci teletrasporta dentro la piramide, sopra la Ziqqurat, nella sospensione del Tempio. C'è la preghiera sacra, quella sciamanica, un panteismo di suoni che apre a visioni magnetiche del passato, in barba all'inquisizione del monoteismo della barbarie dell'era della religione.

Il folclore astratto delle divagazioni atemporali traccia un percorso stupefacente nell'inaspettato scoperchiato dalla musica. È come se ci si fosse immersi contemporaneamente in momenti antidiluviani come in un fantascientifico futuro. L'inimmaginabile incontro degli antipodi delle ere illumina una fruizione che si trasforma in devozione dinamica e non nutre compensazioni animiche perché veniamo inondati da un piacere assente, da un'atmosfera oggettiva.

La comunicazione riflette vecchi codici dove tutti sentiamo il medesimo coinvolgimento ritrovandoci a basculare tra le crepe di una sofferenza impersonale esorcizzata da elettroniche distorsioni che echeggiano un riverbero del nostro aldilà.

Il meccanismo funziona alla grande, avendo l'ulteriore pregio di non essere esplicitamente invasivo nel suo messaggio psichico. Apparentemente scorrevole sembra il dispiegarsi di cadenze mitologiche ma il potpourri proposto è costante nel risvegliare splendori passati.

Ma è proprio qui la raffinatezza delle composizioni, non far trapelare direttamente l'aroma del ricongiungimento con la pletora dei nostri Dei interiori. Salmodiare un futuro attraverso ritmi trascendenti scanditi da percussioni che battono direttamente sulla storia del nostro cuore. Ed il calore gelido delle stilettate delle reincarnazioni non nutre più, col suo distacco, ospiti indesiderati, ma aleggia in un'aura di arrendevolezza rituale.

In una colonna sonora di un'era storica indefinibile i Saqqara Dogs aprono i loro deserti con cascate di miraggi d'acqua che dissetano l'assenza della nostra ombra.

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