Alzino la mano quanti tra gli utenti di questo sito si ricordano di Sara Bareilles. Sicuramente saranno molto pochi, e non posso decisamente dargli torto, visto che di questa talentuosa cantautrice e pianista californiana, dopo la piacevole hit "Love Song", nel vecchio continente si è persa praticamente ogni traccia, un po' per la gestione non troppo brillante della sua casa discografica, un po' per la pubblicazione di singoli graziosi, ma non abbastanza radiofonici da farsi notare dai più. Diversamente è andata in America, continente in cui la ragazza è riuscita a raccogliere un discreto seguito; e ora, a due anni di distanza dal successo commerciale di "Kaleidoscope Heart" (disco peraltro discreto, ma, come anche il debutto "Little Voice", niente di più), Sara torna a calcare le scene musicali con un nuovo album di studio, "The Blessed Unrest" che, quatto quatto, senza farsi notare in maniera troppo roboante, si candida a diventare uno dei migliori dischi pop di quest'anno.
Eh si, perché Sara negli ultimi due anni è cresciuta molto dal punto di vista artistico e personale e ciò l'ha portata a raggiungere una maturità nel comporre e nel comunicare tale da elevarla al di sopra della media delle cantautrici di matrice "amosiana" che affollano il sempre più saturo panorama musicale: il risultato di questa crescita è un disco che sa essere fresco, pur senza inventare nulla, e in cui la Bareilles sembra descriverci il mondo che la circonda attraverso gli occhi innocenti di una bambina. Certo, i livelli toccati dalla Rossa nel suo periodo d'oro (vedi, ad esempio, "Little Earthquakes" e "Under the Pink") sono ancora al di fuori delle corde di Sara, ma a quelli di una Regina Spektor ci arriva tranquillamente, soprattutto nei pezzi più introspettivi (le dolcissime ballate piano-voce "Manhattan" e "Islands" rimandano molto a "Samson", una delle più belle composizioni della cantautrice russa). Notevoli sono però anche i pezzi più allegri e radiofonici (il lead-single "Brave", la graziosa parentesi jazz di "Little Black Dress" e l'ispiratissima "Chasing the Sun", a mio parere tra le tracce in assoluto migliori del lotto), così come quelli in cui la nostra si avventura in qualche riuscita sperimentazione elettronica ("Eden", "I Choose You", la bonus track "I Wanna Be Like Me") e gli episodi quasi lounge di "Hercules" e "December". Il tutto è coronato da una gran cura per gli arrangiamenti e, soprattutto, per i testi, sempre ispiratissimi e molto vari tra loro per temi e argomenti affrontati (si vedano ad esempio l'inno al coraggio di "Brave, la poesia di "Chasing the Sun" e le storie di "Cassiopeia" e "Satellite Call"). Notevoli sono anche la voce della Bareilles, che incanta con il suo timbro magnetico e potente sprizzando positività in ogni singola nota che prende, e la padronanza che la ragazza ha del pianoforte, che purtroppo non viene mai ostentata con qualche assolo o improvvisazione che sicuramente sarebbe stata piacevole da ascoltare.
"The Blessed Unrest" è insomma un disco da ascoltare e da non far passare inosservato, perché in un panorama pop sempre più impregnato di vuoto e spettacolarità fine a se stessa, si sente il bisogno di valorizzare talenti semplici e genuini capaci di regalarci opere come questa. Certo, non è un capolavoro che verrà ricordato come una pietra miliare della storia della musica (anche perché forse non ha neanche la presunzione di aspirare a un simile riconoscimento), ma è un album onesto, fatto con passione e che si farà sicuramente apprezzare da chi cerca del buon pop d'autore.
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