"L'hard rock è fatto solo per maschi!"
Niente di più falso! Sandi Saraya aveva una voce maestosa, sprigionava sensualità e dolcezza in ogni sua mossa, eppure questo non è bastato a farle fare carriera nel mondo musicale. Un vero peccato, visto che "When The Blackbird Sings..." datato 1991 è un signor album, con una produzione mostruosa da parte di Peter Collins (Queensryche e Rush nel suo curriculum, tanto per citarne qualcuno) e una ricercatezza nei suoni a dir poco sbalorditiva!
La storia di quest'album si concretizza così: reduci da un discreto successo ottenuto con l'esordio omonimo del 1989, i Saraya decidono che è meglio irrobustire il sound. Via quindi l'AOR-oriented di "Back To The Bullet", via il semi-blues di "Love Has Taken Its Toll", spazio alle grandi chitarre del bravissimo Tony Bruno (decisamente uno dei migliori chitarristi in circolazione) e via (anche se non del tutto) le tastiere pallose del povero Gregg Munier, uno dei fondatori del gruppo e deceduto nel 2006, il quale all'epoca rifiutò il nuovo orientamento della band. Resta invece il batterista Chuck Bonfante mentre, anche il bassista, viene rimpiazzato da un sostituto decisamente all'altezza, come il bravo Barry Dunaway (che sarà alla corte anche di Yngwie Malmsteen). Formazione ridotta a quattro in un album dove i mille effetti creati e le mille sfaccettature sembrano opera di 10 persone altrochè!
Ne sono prova l'iniziale "Queen Of Sheba", con un inizio di basso strepitoso e una parte centrale che i Dokken se la sognano di notte, "Seducer", un misto fra i Tesla di "Psychotic Supper" (ricordando il matrimonio-lampo di Saraya con uno dei membri, ovvero il bassista Brian Wheat) e i Queensryche più melodici, con una prova vocale di Sandi decisamente sugli scudi e le rockeggianti "Lion's Den" (una delle mie preferite) e "Hitchin' A Ride".
Troviamo tuttavia l'alternanza tra tracce di più ampio respiro, ma sempre con una marcia in più, che si ricollegano, seppur di poco, all'esordio e canzoni con un'aria decisamente più cupa e cadenzata: nel primo caso con le solari "In The Shade Of The Sun" e "White Highway" che occupano la parte finale del disco e nel secondo con la riuscita "Bring Back The LIght" e la stupenda title track.
Menzione a parte meritano due canzoni in particolare, ovvero "When You See Me Again...", canzone molto ritmata ma dotata di una melodia stupenda e con dei cori superbi e la ballata finale "New World" che chiede disperatamente e per l'ennesima volta la speranza di un mondo che di migliore al momento non ha mostrato nulla.
Ecco, forse l'unica canzone "ordinaria" (anche se molti gruppi di oggi se la scordano una normalità del genere!) è "Tear Down The Wall", ma a parte ciò sarebbe veramente crudele screditare un album praticamento perfetto per un solo pezzo.
Detto questo, pensate che il gruppo sarebbe potuto andare avanti? Ovviamente no, la storia non finisce nei migliori dei modi: l'album non viene accolto come ci si aspetta, il tour di supporto dura pochissimo e di lì a poco lo scoraggiamento della band è talmente alto da far sì che si chiudano i battenti prima del previsto. Saraya divorzierà da Brian Wheat (il tempo di una sveltina insomma...) e scomparirà nell'anonimato se non vedendola recentemente su qualche video amatoriale di YouTube come pure il resto della band, tranne che per Tony Bruno che, oltre a diventare produttore, suonerà per due zoccolone come Anastacia e Rihanna addirittura!
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