Pensi di ascoltare l'ennesimo scempio black-metal anni '80, senza infamia e senza lode. Invece ti trovi di fronte un prodotto di discreta fattura, confezionato apparentemente almeno 20 anni fa e messo in commercio soltanto nel 2003. Dico questo perchè la qualità sonora dell'opera si richiama direttamente (e volutamente) alle crude registrazioni di quel periodo: e tale è la sensazione di macabra oscurità "low-quality" che accompagna l'incedere pesante del disco, da richiedere almeno un paio di ascolti.
Questi due turchi sono capaci, entro certi limiti, di regalare emozioni forti: si tratta di una 2-man band, che apparentemente ha sfruttato sovraincisioni per registrare batteria, basso quasi inesistente, sintetizzatore e chitarre. Il black metal che ci propongono è sorprendente da un lato, vagamente stereotipato dall'altra: esiste infatti una componente sinfonica molto originale ed un'attitudine diretta ed essenziale che non lascia spazio ad inutili virtuosismi. Tuttavia certi rigidi schematismi (ritmica monocorde, accenti scanditi quasi sempre dal crash) non lasciano molto spazio alla creatività dei musicisti, prigionieri loro malgrado di un certo modo di comporre che, duole dirlo, poco e niente è cambiato nei decenni.
Al di là di una vena compositiva mediamente ispirata, i nostri possiedono doti tecniche agli strumenti di rilievo, a parte qualche "approssimazione chitarristica" di troppo e qualche sbavatura del batterista, il cui onnipresente crash di cui sopra ci trapana il cervello dalla prima all'ultima traccia. Senza contare che alla sua monotonìa si deve aggiungere il fatto che non è esattamente un cronometro (basta ascoltare la metà della prima traccia, in cui sbaglia vistosamente l'entrata e rischia pure di andare fuori tempo...): ma i Sarcophagus questo sono, prendere o lasciare. Un suono epico e devastante ("Storm of the ancient wrath") per una band di cui non ho trovato nulla su internet, tranne ovviamente il link che ho allegato, e che merita abbastanza, pur senza andare nell'eccellenza assoluta (ce ne vuole, in questo genere).
Un richiamo molto forte in questo EP (con un formato praticamente da album) è rivolto come immaginate alla produzione intermedia dei Dimmu Borgir e dei primissimi Satyricon, con il rischio perenne di scadere nelle consuete dinamiche tipiche, ahimè, del genere. Infatti ad un discreto songwriting si accompagna una scarsa originalità in diversi passaggi, che rende difficile l'ascolto per chi (come il sottoscritto) spulcia dischi semi-sconosciuti del genere da anni, e per il quale ci vuole veramente "tanto" per fargli gridare al "miracolo" (se posso usare questo termine...). Degna di nota "Mist of thousand fullmoon", probabilmente il miglior pezzo del disco, con tanto di ritmiche sincopate ed atmosfere alla Satyricon di "Nemesis Divina".
Come spesso accade il giudizio finale dipende molto dalla predisposizione mentale dell'ascoltatore: chi conosce bene gruppi come Satyricon ed Immortal troverà il disco appena-appena interessante, mentre la critica ed il pubblico superficiale continuerà a bistrattarne contenuto e forma, preoccupato esclusivamente di evidenziarne difetti e di ridicolizzarne la brutalità come mero caos insignificante.
Il futuro della musica estrema probabilmente vedrà suoni sempre più industriali e "modernisti", ma prodotti come questo - tutto sommato - che sembrano provenire dall'età della pietra ne costituiranno, a mio modesto parere, un'influenza sempre rilevante.
"I dwell in ice, I died thousand times"
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