Esiste un limite al dolore? Alle contorsioni dell'anima? Ai misteri delle incertezze più profonde?

Queste dodici lacrime sventrano la speranza, martorizzano carcasse di sogni impossibili, sospirano la solitudine urlante. Ma lo fanno con grazia, con eleganza, schiaffeggiando teneramente attoniti ascoltatori, succhiando loro recondite emozioni, trasformandole in dolci incubi nebbiosi. "Martyre" è una lunga camminata tra foglie secche di umidi sentieri, pozzanghere di tristezza stagnante, vecchie case dai muri di crepe feriti, è lo sguardo di una giovane donna dai biondi capelli, dagli occhi verde-cristallo ma dall'espressione desolata e inconsolabile. Il sestetto di Copenaghen supera i limiti dell'eleganza, varca le frontiere di un genere avvinghiato a patterns stracopiati, trascina via in un tornado di note che brillano di purezza nostalgica. questo senza strafare, senza avvalersi di coriste, flautisti, gorgheggi femminili forzati ma con la sola forza devastante dei loro strumenti, della bravura di un vocalist camaleontico, di tastiere come gocce di brina. Tutte le tracks sarebbero da menzionare per il binomio eleganza-intensità. "Inflame thy heart" brilla per un guitar-work di classe cristallina, melodie penetranti ed un cantato incisivo ma armonioso. Fantastica "Empty handed" dal riffing richiamante "Draconian times" dei Lost, più soffici e ragionate "Noir" e "A poem" dove le crying-guitars di Larsen e Poulsen infliggono ferite brucianti. La meraviglia viene raggiunta dalla solinga ballata "Thou art free" e dall'anthem assai catchy di "Lost my way". La prima è delicatezza di un tramonto scandinavo tramutata in note di acustica bellezza e vocalizzi come sospiri di un amante solingo. Nella seconda il riffing rivela groove, potenza con una sezione ritmica avvolgente. molto bravo il singer Thomas nell'interpretarla e ad arricchirla di cleans al limite del dark-pop (Depeche Mode). Bellissimi anche i brani rimanenti dove la rabbiosa eleganza di "Loss" si staglia come una statua sfregiata ma ancora solenne, sobria e granitica. pianos di gran pregio, carezze di chitarra classica ed ancora lo screaming profondo, gutturale dolcemente sgraziato uncinato dalle leads di chiusura davvero stratosferiche.

Una vera opera, un tormentoso viaggio verse terre dai climi uggiosi, dai mari in tempesta, dal vento sferzante. Sussurri e grida da un mondo di infinita malinconia. Perfetta colonna sonora per un film di Bergman.

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