"A SINGLE DEATH IS A TRADGEDY, A MILLION DEATHS IS A STATISTIC. "(josef stalin).
Con questa citazione inizia quello che si può tranquillamente considerare il capolavoro (opera) musicale dell'era sinfonico-barocca dei Savatage: "Dead Winter Dead".
Quest'album è la seconda opera Rock-Metal dei Savatage dopo l'inarrivabile "Streets" del 1991 e diciamo subito una cosa: quel capolavoro non era assolutamente ripetibile, i nostri lo sapevano e infatti non tentano assolutamente di riproporci la minestra del 1991 riscaldata e riveduta con temi di attualità (per il tempo), ma anzi, ci offrono un lavoro coinvolgente, incredibilmente sentito ed emozionante dove si uniscono in maniera maestrale epicità, potenza e maestosità, ma anche (e soprattutto) un fiume di sensazioni ed emozioni che vanno dalla speranza alla tristezza, dalla malinconia all’odio, dalla disperazione ancora alla speranza... Un opera in cui la poeticità dei testi si sposa alla perfezione con l’immagine musicale... Un connubio pressoché perfetto (e tremendamente evocativo) di parole e musica che raramente mi è capitato di ascoltare.
L’album esce nel 1995 ed è un concept tratto da uno scritto di Paul O’ Neil (produttore nonché membro non ufficiale del gruppo) che si basa, con una poeticità e un coinvolgimento da lacrime, sulla situazione dell’(ormai) ex-Yugoslavia vista con gli occhi di Serdjan Aleskovic, un personaggio immaginario (o no?), che si ritrova a doversi confrontare con la vita in un paese martoriato da un migliaio d’anni di guerre e persecuzioni e che finalmente dopo il crollo del muro di Berlino sembrava aver conquistato quella possibilità di cambiamento che tanto era stata bramata e sofferta dalla popolazione, prima di ricadere di nuovo nell’orrore della guerra (semi)civile.
I testi sono stupendi, sognanti e in nessun modo banali o scontati e riflettono (condannano) in maniera “originale” e sofferta sul razzismo, sull’intolleranza, sull’odio, sulla perdita dell’innocenza, sull’incapacità dei singoli di cambiare le cose...
Ma parlano anche, in maniera celata (ma non troppo), di speranza, di amore, di bisogno di cambiamento e ci interrogano sul valore dei sentimenti e della pace intesa come diritto e non come conquista. La cosa che si può notare da subito, e che più mi ha colpito ascoltando questo lavoro, è l’incredibile coinvolgimento emotivo da parte dei musicisti che riflette, su noi adoranti ascoltatori, la commozione che sembrano provare nel raccontarci la storia...
Il gruppo ci offre una prova che dire sentita è veramente poco e tutti i membri sacrificano (in parte) le loro (enormi) capacità tecniche sull’altare della Musica emozionante e sognante, progressiva e ricca di pathos in ogni momento... Insomma… La Musica con la M maiuscola. Si parte...
“Overture” è un pezzo strumentale e sinfonico che ci accoglie nel concept con intensità maestosa. “Sarajevo” ci accompagna con le “inquietanti” note di piano di Jon Oliva e la bellissima voce di Zak Stevens che rispecchia la distaccata tristezza che prova il cuore di pietra del Gargoyle, che sovrasta la città di Sarajevo (bellissima la copertina con il cimitero che invade da destra una città distrutta), nel non riuscire a cogliere le sfumature dell’animo umano che tanto ha osservato e cercato di comprendere. Il pezzo è triste e malinconico, parte con piano e voce per progredire in crescendo con partiture orchestrali: stupendo (e breve aimè). “This Is The Time” è il primo pezzo vero e proprio... In un crescendo da paura tra tutti gli strumenti spicca l’interpretazione di Zak e l’ispirazione esaltante di Al Petrelli (ex Asia e con una cultura prog) alla chitarra solista. Tutto è incredibile, non si poteva partire meglio... Siamo nel 1990 e dopo la caduta del muro di Berlino, per la prima volta da millenni, la Yugoslavia è un paese libero, Serdjan sente la gioia e la speranza (e la responsabilità) per un futuro nuovo da costruire... Questo è il tempo per ricominciare a sperare... La felicità sembra finalmente vicina. Purtroppo mentre Serdjan gioisce, uomini malvagi e corrotti dal male inevitabile, tramano nell’ombra per inculcare l’odio e l’intolleranza nelle menti degli uomini, questo viene narrato su “I Am”, quarto pezzo dove canta Jon “the mountain king” Oliva che con la sua voce graffiante e aggressiva descrive perfettamente l’incomprensibile cattiveria degli uomini deboli.
“Starlight” parte con i solito piano di Jon che lascia spazio al riff tagliente di Chris Caffery e alla perfetta sezione ritmica data dal basso pulsante di Johnny Lee Middleton e dalla potente e precisa batteria di Jeff Plate... L’andamento quasi marziale della canzone riprende, ancora in uno sposalizio perfetto, il testo che narra dell’ingenuità di Serdjan nell’ unirsi alla milizia Serba e nel ritrovarsi a sparare sulla città senza quasi rendersene conto. Ritorna la rocciosa voce del buon vecchio Jon su “Doesn’ t Mater Anyway” che, accompagnato da tempi veloci e quadrati e dalla comparsa della doppia cassa di Jeff Plate, ci descrive la situazione all’ interno di Sarajevo dove una giovane mussulmana di nome Katrina decide di impugnare le armi e difendere con i propri compagni la città minacciata da un nemico invisibile nascosto nelle colline... Incredibile lo stacco al limite del crossover al secondo minuto della canzone.
“This Isn’ t What We Meant” è una traccia magnifica: progressiva ed evocativa nella musica (assoli e pianoforte da urlo), tristissima, cinica e senza speranza nel testo: si passa all’ inverno del 1994 e, dopo anni di guerra, la città in rovina accoglie il ritorno di un vecchio musicista che, disperato alla vista della miseria delle macerie, cammina verso la piazza principale sovrastata dal Gargoyle e arrivato alla fontana centrale, mentre inizia a nevicare, recita una disperata preghiera di dolore: “Non era questo che volevamo”. Da lacrime. Non appena termina la preghiera le bombe e le granate iniziano a esplodere nella notte appena giunta sulla città devastata... Ma il vecchio decide di non cercare rifugio... Si arrampica sulla fontana e, mentre le bombe sovrastano il celo, piangendo inizia a suonare con il suo violoncello le passionali melodie di Mozart...
Inizia così “Mozart And Madness”, una strumentale da applausi per intensità ed esecuzione dove la fusione tra parti strumentali e l’immortale musica di Mozart è una delle cose più riuscite dell’intero lavoro. Da quella sera il vecchio ripeterà quel rito di musica nel tentativo di sovrapporsi al rumore e all’ orrore delle granate, e ogni sera Serdjan e Katrina, pur appartenendo a schieramenti diversi e opposti, ascolteranno, inconsapevolmente insieme, quelle magiche note provenienti dal cuore della città perduta. Da far ascoltare a chiunque. Superlativo.
Le grandi note dell’ ”Inno alla Gioia” della nona di Beethoven (“Memory") ci catturano e ci proiettano, riproponendosi in chiave elettrica, verso la title-track: “Dead Winter Dead”, traccia incredibilmente dinamica dove troviamo la chitarra di Chris e la voce di Zak sugli scudi a dipingere le atrocità della guerra che nemmeno la neve, con la sua candida innocenza riesce a coprire. Sconquassante.
“One Child” arriva con la sua tristezza e con il suo immenso dolore accompagnata dal piano di Jon… Continua in crescendo e sfocia in un coro a 6 voci che farà lezione. In uno scenario apocalittico Serdjan, di pattuglia a Sarajevo, vede una scuola dilaniata dalle granate con decine di corpi di bambini innocenti e ne rimane inorridito tanto da essere perseguitato da quell’immagine atroce ed iniziare a capire: quello che stanno facendo non è un progetto di libertà per la costruzione di una nuova nazione, ma un sadico gioco per la reciproca distruzione... Piangendo e disperandosi capisce che non si può costruire un futuro di libertà sui corpi dei propri fratelli. Commovente.
Siamo giunti all’incredibile finale. Ecco il capolavoro “Christmas Eve (Sarajevo 12\24)" con tutta la sua tragicità... Una strumentale struggente e con una potenza evocativa da non credere... Un vortice di note ed emozioni... Lacrime lacrime e lacrime. La vigilia di Natale Serdjan, nascosto, ascolta, come tutte la sere, le dolci note del vecchio violoncellista che intona inni natalizi colmi di speranza che si contrappongono ai rumori della guerra... Anche Katrina dall’altro lato della città ascolta la dolce melodia. Incredibilmente, su quelle note dolcissime, la neve cessa di scendere, le nuvole si diradano e il cielo stellato arriva per illuminare le rovine degli uomini. Improvvisamente la musica si ferma bruscamente, ormai solo il rumore delle granate sovrasta tutto e tutti... Angoscia e atrocità emergono dal cuore di Serdjan e Katrina che, non riconoscendo più la musica, si precipitano verso la fontana. Arrivando contemporaneamente, si vedono ma, mettendo da parte l’odio bellico che non riuscivano più a capire, si avvicinano lentamente e trovano una scena orribile: il vecchio giace con la faccia ricoperta di sangue vicino al suo violoncello distrutto. Dilaniato dal dolore Serdjan alza lo sguardo al cielo ma l’unica cosa che vede è il millenario Gargoyle di pietra che lo osserva nell’incapacità di capire il suo dolore.
Siamo giunti all’ ultimo capitolo della triste storia ed è un altro capolavoro: ”Not What You See” è un brano incredibilmente emozionante che oserei paragonare alla mitica “Believe” di 4 anni prima per intensità e sentimento... In questo pezzo tutto è perfetto... La voce sognante di Zak, il piano commovente di Jon, la batteria morbida e potente di Jeff, le chitarre incredibili di Chris e Al che ci regalano assoli da pelle d’oca e il basso di Johnny che fa da collante... Il tutto impreziosito da una magica melodia e da quei maestosi cori a 6 voci sovrapposte che ci cullano nel raccontarci come Serdjan, sopraffatto da quella notte, si rivolge a Katrina pregandola di accantonare gli odi e i pregiudizi razziali cercando di guardarlo per quello che è e non per la divisa che porta e gridando disperato ancora e ancora e ancora, in un vortice di sentimento e commozione odio e condanna, “I don’ t understand, I don't understand, I don't...". Una delle canzoni più belle che io abbia mai ascoltato e per cui la parola Capolavoro non è sprecata.
Lasciatevi trasportare dall’incredibile melodia di questo disco, lasciatevi impaurire dai suoi racconti di guerra agghiaccianti, lasciate che i vostri occhi piangano nell’ascoltare la commovente storia di Serdjan… Lasciatevi… E lasciate che questo capolavoro entri dentro di voi… Non ne uscirà più.
Il miglior album dei Savatage dalla morte del compiantissimo Chris Oliva (R.I.P.).
“AND EVERY PRAYER WE PRAY AT NIGHT HAS SOMEHOW LOST IT’ S MEANING” . INDISPENSABILE.
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