Se sei giapponese e vuoi fare soldi con la musica, hai poca scelta: se sei una donna sufficientemente carina devi essere una idol, se sei un uomo o diventi androgino e ti metti a cantare le sigle degli anime o entri a far parte di una band punk-metal incazzata, che maledice le istituzioni e prende a testate gli amplificatori.

Oppure puoi osare. Puoi fregartene dei soldi e tenerti la tua piccola cerchia di fans, creando la TUA musica. Che è musica vera, che viene da dentro. Dove ogni suono, anche il più banale o imprevedibile, è estrapolato dal cuore dell'artista con il bisturi della passione e dell'ispirazione. Sawako sicuramente fa parte di questa cerchia.
E nonostante sia abbastanza sbarazzina e giovane per poter essere una idol, lei cerca di far suonare l'impossibile, mandando pure a fare in culo le varie Ayumi Hamasaki. E ci riesce con questo ovattato "Madoromi", dove ti aspetti di trovarci una (non)musica di gente come Taku Sugimoto, che incide dischi senza cantare nè suonare nulla.

Invece, nei timpani dell'ascoltatore viene esteso sino all'orizzonte un campo sonoro di delicata concezione, un overture come "August Neige". Un oceano sospeso tra cielo e terra, dove si riesce a sentire il coro di sirene ammaliatrici dall'oltretomba.
Sawako è appena percettibile sull'orizzonte e sembra una bambina che è riuscita a scoprire dove la mamma le ha nascosto la marmellata: tenera ed intensa.

Un'atmosfera dell'IDM autechriana più calma e impalpabile si gusta con "It's Not On Porpuse", godibile fino al midollo della sua staticità umana. Solo un paio di note che suonano già come un inno, disturbate da effetti elettronici intelligenti. Nulla di originale, ma la stoffa c'è.

Ancora atmosfere delicate in "Uta Tane", un confine tra elettronica e sonorità acustiche. Due stili che si incontrano, si sfiorano e non si riconoscono, seppur si specchino nel medesimo specchio sonoro. Un universo di suoni e colori pastello che figura anche nella successiva, breve "Passepass", un episodio poco interessante, ma necessario in un'opera che si fluidifica nel suo insieme, quasi se fosse un concept sul comportamento umano, e senza ricorrrere a parole, ma alla tosse infantile, metafora di un malessere interiore.

Gli acquerelli di un arcobaleno musicale si fondono nell'eterea "Appeled Soapbox", dove i confini tra realtà e finzione sono veramente flebili. Onirica, astratta e levigata.

"Kira Kira" è un frusciare di campanelli e suoni acquatici, notturno e nevoso come i microsuoni dei Matmos nel capolavoro di Bjork "Vespertine".

"Purple Sky Is Coming" sembra una cover del Mika Vainio più cupo e astratto. Qua e là si coglie qualche passaggio che ricorda le incursioni brass di "Drawing Restraint 9" e non dispiace. I paesaggi sonori sono così efficaci, che appena la ascolti terre incontaminate si scagliano davanti ai tuoi occhi, come un ago attraversa la pelle.

"Far Away" è malinconica e drammatica e pur essendo un semistrumentale fa venire le lacrime agli occhi. Struggente. L'anima è sospesa in un limbo di ossa, muscoli, carne e macerie. Basta sentire i sussurri lontani e frangenti della ragazzina nipponica per innamorarsene. Un capolavoro della musica elettronica, che ricorda spesso i Sigur Ròs degli anni d'oro. Cosa chiedere di più? Un carillon di surreale bellezza chiude il tutto con una danza in punta di piedi.

Mettiamo chiaro che questa musicista giapponese nulla toglie e nulla aggiunge al panorama della musica elettronica. Non mette le mani sul fuoco, tentando l'impensabile, ma suona comunque innovativa e aggressiva nelle sue lievi cicatrici sonore. Vi sembra incredibile? E allora ascoltatela.

Se non ritenete snervante la totale mancanza di ritmi e vi piace divagare con la mente. Beh, allora questo è il vostro disco. Beata sia Sawako!

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