La copertina suggerisce qualcosa del genere proposto dai Saxon Shore, quintetto originario di Philadelphia ed ora dislocato qui e là per gli USA. Sono fili che disegnano coordinate precise, infatti, tessiture che, all’interno del digipack così come del cd, si raggomitolano, creando un groviglio difficile da districare.

I suoni trattati dal quintetto sono un impasto melodico di chitarre (ben tre, ad incrociare riff senza innalzare wall of sound), tastiere, percussioni, basso e batteria con fugaci incursioni vocali.

Il nome del produttore attirerà alcuni tra i più attenti ascoltatori, trattandosi di quel Dave Fridmann (già al lavoro con Flaming Lips e MGMT, tra gli altri), eppure non ci sono molte similitudini con quelle band. I Saxon Shore si rifanno piuttosto al post rock atmosferico (si direbbe di area Mogwai, ma solo alla lontana), non sono immuni da influenze wave (vedi "Thanks For Being Away") né da parentesi decadenti ("This Place", l’unico pezzo cantato). Il gusto della band per lunghe escursioni strumentali sognanti, dilatate e malinconiche rende l’ascolto del disco per intero poco digeribile, e questa è forse la loro pecca maggiore.

Da citare invece "Sustained Combustion", brano in bilico tra emotività “post” e riff immediati, probabilmente il più riuscito del lotto.

In definitiva questo secondo disco del gruppo (autoprodotto) lascia sì alcune incertezze ma fa intravedere cosa sono capaci di fare i Saxon Shore, speriamo possano mettere a frutto le loro doti e mettere da parte le propensioni alla lungaggine.

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